blog americalatina

Name:

"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Saturday, September 30, 2006

Il desaparecido della democrazia

Continuano senza risultati le ricerche di Jose Julio López, il testimone principale del processo che ha portato alla condanna all’ergastolo di Miguel Etchecolatz, l’ex capo della polizia di Buenos Aires. López è scomparso lunedì, un giorno prima della sentenza e da allora non si è più saputo più nulla di lui. Il processo contro Etchecolatz è stato marcato da pressioni e minacce: l’ex poliziotto, ancora influente, non ha mai accettato le accuse (“Solo Dio mi può giudicare” ha detto, tanto per capire il personaggio). Per lui, era in ballo, per la prima volta in Argentina, l’accusa di genocidio.
La scomparsa di López ha suscitato timore ed apprensione perchè rivelerebbe la presenza di un apparato parallelo allo Stato, capace di muovere uomini ed idee a proprio piacimento. Sono ancora migliaia, nelle forze di polizia, quelli che appoggiano uomini come Etchecolatz e le loro idee repressive, segno di una frattura nella società difficile da rimarginare.
Mentre López non si trova, sono giunte come un doccia fredda le dichiarazioni di Hebe de Bonafini: “López non è un tipico desaparecido. Vive in un quartiere di poliziotti, ha un fratello poliziotto e la famiglia non ne denuncia la sparizione” ha dichiarato a Radio 10. Secondo la Bonafini, López non sarebbe mai stato un testimone chiave nella condanna a Etchecolatz, ma solo uno dei tanti. Parole dure anche sul presunto sequestro, consumato sì negli ambienti di destra, ma del quale starebbero approfittando quei settori della sinistra interessati a screditare la politica sui diritti umani del presidente Kirchner. Su Peacereporter, Stella Spinelli parla del caso:
http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=6344

Wednesday, September 27, 2006

Niente pace per la Bachelet

Non c’è pace per la Bachelet. Non si è nemmeno calmata –o placata- la protesta degli studenti, che a scendere in piazza ci sono ora i professori e i medici. Il Cile sembra andare più a sinistra di quanto il presidente socialista pensi o voglia, benchè le richieste dei manifestanti sembrino ben ragionevoli. Si tratta infatti di salvaguardare il diritto alla salute e all’educazione, come conquiste di uno Stato sociale che, invece, le varie forze politiche ed economiche vogliono affossare. La scuola e gli ospedali si sono rivelati dei buoni affari per i privati, aiutati da una legislazione che, in pratica, è rimasta la stessa dai tempi della dittatura.
Risulta così incongruente come nel Paese al primo posto per la competitività in America Latina, lo scontento sul governo sia galoppante. La Bachelet si difende, dicendo di essere aperta al dialogo, ma forse è proprio questa apertura a dimostrare esitazione sulle scelte da compiere. Nei giorni scorsi sulla presidente erano piovute critiche per aver ratificato la legge sulla pillola del giorno dopo, che può essere usata dai 14 anni senza il permesso dei genitori.
Da un estremo all’altro, la Bachelet zoppica.
Come sempre i blog la fanno da padrone e ci portano uno spaccato essenziale della società cilena. Il fotoblog della Universidad de Chile:
http://www.fotolog.com/bello_publico
Alcuni blog: http://el5infierno.blogspot.com/
http://chilereflexion.blogspot.com/
ed altre foto: http://www.fotolog.com/paro_escolares/
http://www.fotolog.com/tomateunliceo/

Monday, September 25, 2006

Links ed interviste/8

I dodici ex diputati del Congresso colombiano in mano alle Farc sono vivi. A testimoniarlo è un video consegnato ai media di questo paese, e che è possibile vedere su: http://www.canalrcn.com/noticias/?op=info&idS=742&idP=119&idC=20185
Una notizia passata in secondo piano è la morte di Enrique Gorriarán Merlo, autore materiale dell’agguato che costò la vita al dittatore Somoza nel suo esilio in Paraguay. Periodismo de Verdad pubblica l’ultima intervista che il rivoluzionario concesse:
http://www.periodismodeverdad.com.ar/noticia.asp?id=1037
Punto Final è stata una conosciuta rivista di sinistra, pubblicata in Cile fino al 1973, quando fu dissolta dalla polizia di Pinochet. I suoi numeri sono oggi stati raccolti in internet all’indirizzo: www.pf-memoriahistorica.org
Le cose in Bolivia si fanno sempre più serie. In un’intervista, l’ex generale Antezana che è stato Capo di stato maggiore dell’esercito boliviano, ha già scelto da che parte stare, ossia con quelli di Santa Cruz. “Se Morales viola l’ordine costituito, l’esercito interverrà”, questa la sua minaccia. L’intervista completa è apparsa sul quotidiano El Mundo: http://www.elmundo.com.bo/Secundarianew.asp?edicion=24/09/2006&Tipo=Nacional&Cod=5157
Foto. Sul Clarín, fotoreportage sulla dittatura argentina. Il titolo è “Del Cordobazo al juicio de las Juntas”. Il documento è eccezionale, trenta foto d’autore su http://www.clarin.com/, cercare sulla rubrica Multimedia sulla colonna di sinistra.
Veniamo all’Italia. Martedì 26 Settembre alle 17.30 si terrà a a Genova, a Villa Rosazza, l’incontro - dibattito “La rivolta dei Pinguini” incentrato sui movimenti studenteschi cileni delle scuole secondarie, nel periodo che va dagli anni ’80 ad oggi. Il dibattito sarà preceduto dalla proiezione di parti del documentario Actores Secundarios, che ricostruisce le manifestazioni degli anni Ottanta attraverso le interviste di vari studenti che presero parte allora al movimento. Con filmati e foto di quegli anni si ripercorre il periodo dall’83 all’89, cioè fino alla caduta della dittatura. Al dibattito parteciperanno Roberto Speciale, Presidente della Fondazione Casa America; Paolo Hutter, giornalista, militante ambientalista che visse l’esperienza della prigionia nello Stadio Nazionale durante il golpe del ’73; Marco Coscione, testimone delle attuali manifestazioni degli studenti cileni:
www.casamerica.it
Su Narcomafie in uscita questo mese, un reportage dal Brasile di Angelo Turco in vista delle elezioni di questa settimana: www.narcomafie.it

Sunday, September 24, 2006

Montesinos: il signore delle condanne

Vladimiro Montesinos: chi si ricorda lui? Il “monaco nero” –uno dei tanti soprannomi che gli vennero dati- di Fujimori sta collezionando una lunga serie di condanne. L’ultima è quella di ieri, che lo ha sentenziato a venti anni di carcere per la vendita di armi alle Farc. Montesinos è stato uno dei personaggi più inquietanti degli ultimi anni della storia latinoamericana. Spia, avvocato dei narco, torturatore, corrotto e corruttore, Montesinos ha percorso tutti i tortuosi cammini dell’illegalità fatta legge. È passato attraverso le dittature militari e i governi democratici del Perù creando i legami che gli sarebbero poi serviti a organizzare il potere parallelo che lo avrebbe mantenuto per dieci anni nel ruolo di eminenza grigia della presidenza di Fujimori. Nel processo sulle armi è saltato fuori che queste, comperate alla Giordania, sono poi finite in mano ai rivoluzionari colombiani, con l’approvazione di Fujimori a cui toccherà rispondere sulla questione non appena il Cile definisca se concede o no la sua estradizione.
Ad oggi, Montesinos è impegnato in 74 processi. Gli si contesta praticamente di tutto: sequestro, tortura, estorsione, omicidio, terrorismo, diffamazione, traffico d’armi e di droga, tradimento alla patria, traffico d’influenze, corruzione, falsificazione di documenti, intercettazione telefonica, riciclaggio di denaro proveniente dal narcotraffico, e forse dimentico qualcosa. Al momento ha ricevuto 12 condanne. Quella di ieri è la più lunga che gli è stata finora appioppata e che dovrà scontare interamente, già che le condanne in Perù non sono cumulative.
Intanto, il Rasputin delle Ande –altro soprannome- ha confermato che la rivolta di Ollanta Humala nel 2000 fu effettuata per coprire la sua fuga. Tanto per muovere le acque, insomma.
Sul Perù, vi segnalo il blog del polemico giornalista televisivo César Hildebrandt:
http://cesarhildebrandt.wordpress.com/

Friday, September 22, 2006

Religione e pederastia in Messico

Si chiama Snap, sigla che sta per Survivors Network of those Abused by Priests, che suona come Rete dei sopravvissuti all’abuso dei sacerdoti. L’abuso di cui si parla è quello sessuale compiuto dai preti nei confronti dei bambini e dei ragazzi che frequentano le parrocchie. Il caso di padre Marcial Maciel –il fondatore dei Legionari di Cristo- è solo il più eclatante, perchè secondo Snap ci sono in questo momento almeno 46 sacerdoti, accusati di delitti a sfondo sessuale, che dagli Usa si sono rifugiati in Messico. La denuncia è stata fatta durante una caotica conferenza stampa tenutasi ieri nella capitale messicana, che aveva come fine richiamare l’attenzione sul clima di omertà che le alte gerarchie cattoliche di questo paese hanno creato attorno al problema.
Alla conferenza era presente Joaquín Aguilar, un ragazzo di 25 anni (nella foto), che in questi giorni ha denunciato alle autorità giudiziarie statunitensi i cardinali Roger Mahoney e Norberto Rivera per avere aiutato la fuga di Nicolás Aguilar, il prete che l’avrebbe violentato quando era un bambino.
Il tema è scabroso, ma le denunce fioccano scottanti. Il cardinale Rivera non è nuovo a situazioni di questo genere. È infatti uno dei fidi e potenti legionari di Marcial Maciel, che ha sempre difeso a spada tratta. Quando si attacca la Chiesa cattolica in queste situazioni, Rivera non ha remore a parlare di persecuzione. È addirittura arrivato a comparare la situazione dei preti pederasti a quella dei martiri impalati e crocifissi da Nerone:
http://www.cardinalrating.com/cardinal_88__article_220.htm
Se serve da monito, contro gli avvocati di Snap Rivera ha sguinzagliato la polizia per cercare di evitare la conferenza.
La pagina di Snap:
http://www.snapnetwork.org/

Thursday, September 21, 2006

Venezuela-Iran, arroz con mango

Va giù Chávez nel sondaggio svolto due giorni dopo la visita di Ahmadinejad e gli accordi con l’Iran. Per la prima volta il presidente venezuelano va sotto il 50% in vista delle elezioni del 3 dicembre, segnale di un certo timore sorto infine anche nell’elettorato più fedele. Una cosa è creare un valido fronte anti-statunitense, un’altra è allearsi con chiunque capiti a mano per sostentarlo.
Per Chávez vanno tutti bene, ma la percezione che si ha in America Latina del mondo arabo è quella di una grande diffidenza. Ad alcuni fa paura, sgomenta, ad altri lascia indifferenti per la differenza di culture. Di fatto, non è mai una percezione positiva, di accettazione. Il mondo arabo si sente lontano –non solo a livello di spazio- pieno di incongruenze, scagliato nelle case da una televisione sempre di parte che, nel bene o nel male, dipinge l’Islam come portatore di guai. Ed è un mondo inconcepibile, quello arabo, che non ammette celie e libertinaggi, così cari alle nostre latitudini, che non combina nè con lo spirito esuberante dei Caraibi, nè con l’anima sempre al limite del fantastico del resto del Sudamerica. Chi conosce più a fondo la politica internazionale e cerca un segnale, aspetta da tempo un cenno dall’Islam moderato, almeno per smentire l’impressione provocata dal bombardamento mediatico. Tutto tace, però.
Non c’è maniera di fare quagliare l’Islam con l’America Latina e sbaglia Chávez a volerlo imporre cominciando proprio con quanto di peggio ci sia in circolazione. Ahmadinejad è pericoloso quanto Bush, chissà se Chávez l’avrà pensato.
Per la cronaca, mentre ad agosto Chávez era al 55% e Rosales al 19%, ora la differenza è di 48%-30%. Questa è la pagina web dell’organizzazione islamica per l’America Latina:
http://www.islamerica.org.ar/

Wednesday, September 20, 2006

La foglia di coca all'Onu

I gesti valgono più di tante parole. Evo Morales si è presentato ieri all’Assemblea dell’Onu e senza farsi troppi problemi ha mostrato agli astanti una foglia di coca. La mossa ad effetto è servita per introdurre un discorso in difesa della coltivazione della coca, strascico delle polemiche dei giorni scorsi. Morales ha chiesto rispetto per le culture andine: “La guerra contro la droga non può essere un pretesto per invadere le nostre nazioni”. Lo scontro è, naturalmente, ancora una volta con gli Stati Uniti. Washington ha “suggerito” alla Bolivia di cambiare alcune leggi che proteggono la coltivazione della coca, auspicando la distruzione di 5.000 ettari di campi prima del marzo 2007. Il consiglio non è piaciuto per niente.
Gli Usa devono rispettare la nostra sovranità e non hanno il diritto di venirci a dire come cambiare le leggi” ha dichiarato Morales. Sacrosanta la protesta del boliviano.
Non è possibile che la coca sia legale per fabbricare la Coca Cola ed illegale per il consumo medicinale nel nostro Paese”.
Da lì la presenza della foglia di coca nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Almeno, Morales è riuscito a dimostrare che, in barba a tanti controlli, la coca può volare in valigia diplomatica da La Paz a New York ed entrare nel palazzo dell’Onu. È un gesto simbolico anche questo.

Tuesday, September 19, 2006

Le cattive compagnie

Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei, dice il motto. Ahmadinejad è a Caracas. Chávez gli ha reso grandi onori e ha qualificato la rivoluzione iraniana al pari di quella bolivariana in atto in Venezuela. I due hanno trovato il tempo di parlare malissimo degli Usa e di auspicarsi un brillante futuro da alleati.
Siamo abbracciati ai figli di Allah” ha detto Chávez “ai figli della grande Persia, uniti ora per sempre”.
Sinceramente certi atteggiamenti di Chávez lasciano perplessi. A chi è amante della pace, non è sfuggito che l’Iran è un paese armamentista, che ha espresso manie imperialiste, che investe milioni e milioni dei suoi petrodollari nell’esportare una rivoluzione che, in nome della religione, vuole mettere a tacere le coscienze –non solo quelle occidentali-. Allearsi con l’Iran significa portare il seme distorto di una teocrazia assolutista nel cuore dell’America Latina, con le conseguenze che possiamo immaginare.
Il Venezuela ha in mano una grande arma, una rivoluzione democratica che però, certe scelte del suo leader spogliano di efficacia. Va bene assumere un ruolo anti statunitense, però portarlo a questi estremi non giova a nessuno e rischia di rimanere un atteggiamento deleterio per i programmi futuri.
Per la cronaca i due paesi hanno firmato più di una ventina di trattati di cooperazione, che riguardano la costruzione di fabbriche di cemento e di acciaio, la formazione di una compagnia petrolifera a partecipazione mista, programmi di collaborazione nell’agricoltura e nell’industria mineraria. Insomma, un po’ di tutto. Non ci sarebbe da meravigliarsi la fondazione in poco tempo di una scuola coranica a Caracas. Tra le altre cose, il Venezuela è tra i maggiori produttori di uranio del mondo. L’Iran ne potrebbe aver bisogno per portare a termine i suoi progetti sul nucleare.

Monday, September 18, 2006

Al Consiglio dell'Onu per necessità

Che valore ha il Consiglio di sicurezza dell’Onu? Per le nazioni che vi siedono in maniera permanente è importante circondarsi di buoni alleati. Bisogna saper scegliere quindi le nazioni che siederanno per due anni e che poi diventeranno giudici di decisioni di peso nell’ambito della politica internazionale.
In questi giorni la polemica ruota attorno alla decisione che si dovrà prendere su quale Paese, tra i candidati latinoamericani, sarà accettato in questo ristretto circolo. Da una parte c’è il Venezuela di Chávez, critico oppositore alle politiche statunitensi ed occidentali in generale; dall’altra c’è il malleabile e opportunista Guatemala di Berger, alleato degli Usa.
Essere parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu (
http://www.un.org/spanish/docs/sc/)
è per un paese povero un ottimo affare. Secondo uno studio pubblicato da due ricercatori dell’università di Harvard, la necessità di ottenere privilegi ed aiuti economici rendono i paesi in via di sviluppo completamente inaffidabili all’interno di questa assemblea. I due, che si chiamano Ilyana Kuziemko ed Erik Werker, hanno studiato la diplomazia dei paesi in via di sviluppo nel seno dell’Assemblea, che è risultata condizionata dall’influenza dei membri permanenti. L’indipendenza nel voto nelle questioni importanti è quindi molto relativa, dato che i rappresentanti dei paesi poveri votano per chi ha offerto loro più aiuti. Nel caso degli Usa, è risultato che il governo di Washington ha aumentato i suoi investimenti di un 59% nei confronti di questi paesi in cambio di un voto favorevole. La cooperazione aumenta quando le decisioni da prendere sono vitali per la politica estera degli Stati Uniti, come nella guerra del Golfo.
Il Guatemala è quindi solo l’ultimo caso. Questo paese non possiede una traiettoria diplomatica di rilievo ed andrebbe al Palazzo di vetro proprio solo a fare gli interessi di qualcun altro. In cambio, natuiralmente, chiederà soldi e progetti di investimenti. La stessa stampa guatemalteca di stampo conservatore è critica rispetto alla posizione del governo (
http://www.prensalibre.com/pl/2006/septiembre/17/151826.html).
Il lavoro dei due ricercatori sarà pubblicato sul numero di ottobre del Journal of Economic Policy:
http://www.economic-policy.org/

Sunday, September 17, 2006

Il ministro inflessibile

Andrés Soliz in pochi mesi si era fatto la fama di un duro. È stato lui, infatti, ad approntare e a mettere in atto la legge sugli idrocarburi che in Bolivia ha fatto tremare le multinazionali del settore. Inflessibile, ha seguito la sua linea fino in fondo. All’indomani della notizia che le pressioni del governo brasiliano erano riuscite a bloccare la risoluzione sul futuro di Petrobras in Bolivia ha presentato le sue dimissioni. Questioni personali, adduce la sua lettera; in realtà, sono questioni di principio. Un bell’esempio di questi tempi, quando ministri e sottosegretari si aggrappano alla sedia come si trattasse della vita stessa.
La nazionalizzazione ha stimolato il processo di recupero della dignità e autostima del nostro popolo, che le politiche neoliberali e razziste pretendevano di schiacciare in forma definitiva”: questo quello che si legge nelle dimissioni.
Nei giorni scorsi Boliviana YPFB, come prevede la nuova legge, ha preso possesso del sistema di rifornimento degli idrocarburi suscitando però le proteste dei brasiliani della Petrobras. L’incontro tra Lula da Silva ed Evo Morales a La Habana ha cambiato le carte in tavola: i brasiliani avranno una proroga. Sono state minacce o promesse quelle che si sono scambiate i due? Il Brasile più di una volta ha avvisato la Bolivia di portarla davanti ai tribunali internazionali. Da non dimenticare, poi che l’ente nazionale boliviano ha bisogno della struttura privata per non collassare. Morales lo ha detto solo ieri che la nazionalizzazione non è espropriazione. Fatto sta che la dilazione è stata approvata: da qui le dimissioni del ministro.
Incorruttibile, spesso intrattabile, un passato da rivoluzionario, Soliz negli otto mesi di governo di Evo Morales si è conquistato le simpatie della gente, arrivando ad essere considerato il più popolare dei ministri. La pagina della YPFB:
http://www.ypfb.gov.bo/


Saturday, September 16, 2006

La pulizia sociale

C’erano una volta gli squadroni della morte ed oggi ci sono ancora. Sono finite le guerre in Centroamerica da anni ormai –l’ultimo accordo di pace data una decada- ma non ci sono grandi novità. In tutto questo tempo, infatti, non si è riusciti a creare una coscienza collettiva di pace e democrazia, in barba a quanto detto, scritto e perorato. Dal Salvador al Nicaragua il fenomeno delle maras continua in aumento, complice l’isolamento sociale che interessa le nuove generazioni, il disinteresse delle autorità, l’impoverimento delle campagne e delle periferie, il difficile accesso all’istruzione. Ragioni ce ne sono un sacco.
Insomma, la guerra c’è ed è in casa. In Honduras e nel Salvador le maras assaltano i bus urbani, ammazzano gli occupanti per rubare pochi spiccioli; in Guatemala è in atto una spietata caccia alla donna. Le autorità rispondono come sanno. Lontani dal prevenire, usano le tattiche e le tecniche apprese durante i conflitti attraverso gli squadroni della morte. Ammassati in pick up, i passamontagna calati sul viso, gli squadristi organizzano ronde estemporanee e setacciano i quartieri di Tegucigalpa, Ciudad de Guatemala, San Pedro Sula, San Salvador alla ricerca dei loro nemici naturali, i ragazzi delle pandillas.
Alcuni dati: dal 1998 ad oggi –meno di otto anni- in Honduras sono stati assassinati 3.300 giovani minori di 23 anni (fa più di un morto al giorno). Qui opera il gruppo Los Magníficos, i magnifici, che vela per la sicurezza della gente perbene. Quest’anno hanno eliminato una media di quaranta ragazzi al mese.
Nel Salvador ci sono il Commando Maximiliano Martínez (che in quanto a stragi se ne intendeva: fece fucilare trentamila contadini negli anni Trenta) e La sombra negra. Sono esperti in eccidi: arrivano ad uccidere fino a dieci minorenni per notte.
Nella maggioranza, i gruppi sono formati da ex militari ed ex poliziotti esperti nelle tecniche di eliminazione. Per loro, non c’è rammarico in ciò che stanno facendo: “è un’opera di pulizia sociale” dicono.
Diritti umani in Honduras:
http://www.conadeh.hn/

Thursday, September 14, 2006

Lula sarà rieletto

Non ci sarebbe storia nelle imminenti elezioni presidenziali brasiliane del primo ottobre. I sondaggi danno un ampio vantaggio a Lula da Silva, con una percentuale del 50% delle preferenze, dato che eviterebbe un ballottaggio. Dietro di lui c’è praticamente il vuoto: al 28% si piazza Gerardo Alckmin, ex governatore di Sao Paulo; al 9% la candidata socialista –espulsa dal Partito dei lavoratori di Lula-, Heloisa Helena Lima. A credere al ballottaggio è solo Alckmin, come rivela in un’intervista alla Reuters. Il dato rilevante è la mancanza di un partito conservatore, tanto che l’opposizione a Lula viene fatta dal PSDB, il partito socialdemocratico.
Intanto, un altro sondaggio rivela che il 76% dei brasiliani è felice, l’11% in più di dieci anni fa. E sì che il Brasile non ha vinto il Mondiale di calcio. Le ragioni della felicità? L’aumento degli stipendi e l’accesso all’istruzione. Dati alla mano, sembra che Lula stia davvero lavorando bene. La caricatura è di Alfredo Sabat:
http://www.alfredosabat.com/
La pagina web di Lula viene ospitata nel sito del Partito dei lavoratori: http://www.pt.org.br/

Wednesday, September 13, 2006

Quando il terrorista fa comodo

Toccherà al governo degli Stati Uniti decidere se il terrorista Posada Carriles tornerà o no in libertà. Dopo più di un anno di tira e molla, un giudice statunitense, Norbert Garney, ha sollecitato la sua scarcerazione e se non ci sono obiezioni da parte di qualche autorità federale, Posada Carriles potrà riassaporare la libertà.
Il nodo della questione è semplice, perchè a richiederne l’estradizione sono Cuba e Venezuela. Il nostro è -per sua stessa ammissione- autore materiale o mandante, secondo i casi, di differenti attentati: l’esplosione del volo La Avana-Caracas (73 morti), le bombe negli hotel di Varadero del ’97 (vi morì l’italiano Fabio di Celmo), il tentato assassinio di Fidel Castro a Panama nel 2000 sono opera sua.
“Il leggendario combattente”, come l’ha chiamato il Miami Herald, pone le autorità statunitensi in un arduo compito. Rimangiandosi quanto decretato dal Patriotic Act, sarà molto probabile che Posada Carriles (cubano di nascita con passaporto venezuelano) passi senza troppa vergogna da terrorista a patriota. Già che si tratta di una pratica burocratica, consolerà le famiglie dei morti sapere che i loro cari sono stati uccisi da un eroe invece che da un villano? Posada Carriles, sempre secondo le sue dichiarazioni, ha ricevuto almeno 200.000 dollari dalle associazioni degli esiliati cubani per perpetrare le sue malefatte; soldi che, secondo il governo Usa, servivano per riportare la democrazia a Cuba e proveniente dalle casse federali.
Dagli archivi della Cia, la documentazione su Posada Carriles:
http://www.gwu.edu/~nsarchiv/NSAEBB/NSAEBB153/
Un’interessante pagina sul terrorismo finanziato dagli Usa in America Latina:
http://www.terrorfileonline.org/es/index.php/Inicio
C’è una pagina che ricorda Fabio Di Celmo: http://www.fabiodicelmo.cu

Tuesday, September 12, 2006

Non allineati e con responsabilità

È iniziato ieri il XIV vertice dei Paesi non allineati. La notizia, sebbene importante, sta passando inosservata vuoi perchè l’incontro si svolge a Cuba, vuoi perchè è bene non ferire i sentimenti degli Usa, occupati in questi giorni nel ricordare la tragedia delle Torri gemelle. Esiste, però, ed è bene ricordarlo, un mondo che non si riconosce nè con la smania occupazionista degli Usa, nè con la follia terrorista di alcuni paesi arabi.
Chi ne parla, in Italia, ne fa con riferimento alla notizia di colore dell’apparizione o no di Fidel Castro, piuttosto che preoccuparsi dei temi che qui saranno discussi. È un male tutto italiano, ma ormai ne siamo abituati.
I paesi non allineati sono 116 e nell’agenda del vertice dell’Avana ci sono temi scottanti, come il ricorso alle energie alternative, il programma nucleare iraniano e gli accordi di pace tra India e Pakistan. Tra buone intenzioni e un’agenda alternativa c’è spazio per la polemica, visto che a Cuba sono arrivati anche personaggi poco raccomandabili, come Ahmadinejad o Musharraf. Insomma, essere non allineati oggi non è certo sufficiente. Reporteros sin fronteras lo spiega bene: “Il vertice” si legge nel loro comunicato “non deve servire a giustificare le dittature, l’oppressione e l’assenza di uno Stato di diritto”.
La pagina ufficiale del vertice:
http://www.cubanoal.cu/

Monday, September 11, 2006

11 settembre: requiem per i diritti civili

L’11 settembre è ormai chiaro che verrà ricordato, oltre che per l’attacco alle Twin Towers –ed anche per il golpe di Pinochet-, come il giorno in cui furono seppellite le libertà individuali. Le ripercussioni dal 2001 sono state tante e negative. Gli Usa, complice un governo autoritario che ragiona come una lobby, hanno conosciuto da allora la restrizione dei diritti civili. La tortura, lo spionaggio telefonico, la censura, gli arresti indiscriminati, che erano pratiche aborrite dalle democrazie, sono ora diventate una prassi comune, imposte ed accettate dalla maggioranza dei cittadini, indifesi di fronte all’arroganza del governo. In nome della sicurezza nazionale è stata inventata l’arma oscena dell’attacco preventivo, che dà praticamente il diritto ad ogni nazione di attaccarne un’altra motivata solo per il sospetto. È il ritorno alla preistoria, alle tribù che si scannavano e si massacravano.
C’erano una volta le monarchie assolute e oggi sono tornate: gli Usa somigliano molto a quegli stati europei che uccisero Thomas More e Giordano Bruno e che, imponendo la logica del terrore, cercavano di cancellare le coscienze individuali. Gli Usa oggi hanno adottato la stessa arma di censura, legittimando la lotta contro il terrore con altro terrore che vuole impedirci di pensare, di muoverci, di protestare.
La cosa peggiore è che la gente di Bush esporta questo terrore, lo vuole generalizzare in Europa, in America, in Asia. Gli Usa, con questi presupposti, non possono essere la guida dell’Occidente. I risultati ottenuti dalla logica violenta sono tristissimi: la frattura con il mondo arabo è praticamente insanabile, Osama Bin Laden continua a ordinare attentati dalle caverne del Pakistan, i taliban sono tornati a riorganizzarsi, l’Iraq è al bordo della guerra civile, l’Occidente vive assediato dai profughi e dall’odio, il prezzo del petrolio è alle stelle: c’è ancora chi ha il coraggio di affermare che Bush sarà ricordato come un grande presidente?
E, ancora più triste, è vedere come le nostre libertà vengono calpestate ogni giorno. Ci sono personaggi in America Latina che vorrebbero seguire l’esempio di Bush. Uribe vorrebbe mettere un chip a tutti i colombiani e Saca –il presidente del Salvador- sogna con revocare il diritto a manifestare: la loro giustificazione, la lotta contro il terrorismo. Il terrorismo è diventato la scusa di comodo per togliere potere alla gente, spogliarla dei diritti, renderla innocua. Per loro, tutti noi che pensiamo siamo terroristi
Tristissimo, no? Eppure questi sono i nostri tempi.

Sunday, September 10, 2006

La ribellione dei ricchi

Il primo sciopero che Evo Morales ha dovuto affrontare, è finito con l’intervento della polizia. Ad indire la serrata sono stati gli imprenditori delle quattro province più sviluppate del paese -Santa Cruz, Tarija, Pando e Beni, le stesse dove nel referendum vinse il sì all’autonomia- per protestare contro la politica del governo, soprattutto sul regolamento dell’Assemblea costituente. Uno sciopero strano, voluto da chi detiene le ricchezze del paese e al quale non hanno partecipato, sebbene invitati, nè i commercianti nè i sindacati. Uno sciopero dei ricchi, insomma, dove ancora una volta i dirigenti hanno chiamato alla secessione per marcare la differenza tra la Bolivia delle pianure e la Bolivia andina, quella bianca e quella indigena. Non c’è responsabilità in questi appelli, c’è solo un progetto di destabilizzazione e la volontà di creare confusione. Non a caso, la violenza si è impadronita presto delle manifestazioni, obbligando la polizia ad intervenire.
Abbattere il governo di Morales e creare due Bolivie è il disegno di Nación Camba, un movimento di destra che, come spiega nella sua pagina web rivendica la creazione di un nuovo Stato, con Santa Cruz capitale. Il sedicente gruppo si presenta con la tristissima frase in campo nero: Patria Camba o muerte, ricordando a tutti come il fascismo sia sempre vivo in America Latina. Secessione, razzismo, formazione di brigate giovanili (leggasi picchiatori) i Camba si proclamano così i portatori di una nazione nuova, senza indigeni da cui saranno separati da frontiere ben delineate.
Il documento della Nazione Camba è qui:
http://www.nacioncamba.net/documentos/la%20solucion%20confedera1l.htm
Tra le varie cose, c’è anche la mappa del futuro stato (con la s minuscola, perchè non qualifica).

Saturday, September 09, 2006

Giornalisti: venduti e senza vergogna

Pablo Alfonso è un giornalista tra i più seguiti in Florida. Esperto su Cuba, ha scritto per anni sul Nuevo Heraldo, tribuna che ha sempre lanciato infiammati editoriali contro il regime di Fidel Castro. “Cuba por dentro” era il nome della sua colonna, che per 19 anni, due volte la settimana deliziava i lettori anticastristi. L’imperfetto è necessario: Alfonso è stato infatti licenziato in tronco. La ragione? Assieme ad altri nove colleghi era sulla busta paga del governo statunitense: pagato per scrivere contro Castro. In cinque anni, Alfonso ha ricevuto 175.000 dollari per scrivere e dire cose che magari non pensava ma che tornavano comode per il suo portafoglio. Ad ospitarlo, oltre l’Heraldo, c’era Radio Martí, l’emittente dei cubani esiliati, la stessa che si vede finanziare di milioni di dollari secondo il piano Bush per la democrazia a Cuba. Solo quest’anno, ne ha ricevuti sinora 37.
L’Heraldo, giornale conservatore, si è detto all’oscuro di tutto e, appena conosciuti i fatti, ha proceduto a licenziare Alfonso. Con lui, altri due giornalisti di questo quotidiano, Olga Connor e Wilfredo Cancio sono stati accusati di corruzione e cacciati.
Altra firma importante legata allo scandalo è quella di Helen Aguirre Ferré, editorialista del Diario Las Américas. Aguirre è stata l’unica a rilasciare dichiarazioni, mostrandosi sorpresa del provvedimento: “Non vedo alcun conflitto d’interesse” a detto ai colleghi che la intervistavano.
Credibilità, obiettività, etica: parole e concetti difficili negli Stati Uniti del nuovo millennio. Ricordate l’anno scorso il caso di Armstrong Williams: il famoso analista riceveva uno stipendio dal governo per partecipare a congressi e appoggiare le riforme sull’educazione volute da Bush.
Juan Manuel Cao, un altro dei nomi della lista, è lo stesso che durante il recente vertice di Córdoba insultò Fidel Castro. Castro, per nulla alterato gli chiese: “Quanto ti pagano per fare questa scenata?”. Oggi, lo possiamo dire: 11.400 dollari, secondo quanto riportato sulla busta paga di Washington.
La pagina web del Miami Herald in spagnolo:
http://www.miami.com/mld/elnuevo/
Il Diario de Las Américas:
http://www.diariolasamericas.com/

Friday, September 08, 2006

Link ed interviste/7

Il Clarín pubblica un documento davvero interessante, ossia i testi che Jorge Luis Borges pubblicó per il supplemento culturale del quotidiano bonaerense dal 1980 al 1986. Per accedervi: http://www.clarin.com/ e cercate la sezione multimedia nella colonna di destra.
Per conoscere dal vivo Felipe Calderón, il nuovo presidente del Messico, ci sono diversi video su You Tube. Qui il suo spot elettorale:
http://www.youtube.com/watch?v=UPPbhwlOrfk, tutto un programma naturalmente, dove si inneggia alle mani pulite, las manos límpias. Staremo a vedere, il suo passato non lo aiuto certo a credergli.
Giá che siamo su You Tube, vi posto la notizia alla televisione colombiana sulla morte di Carlos Castaño, il capo delle AUC:
http://www.youtube.com/watch?v=3TxCW5IiFiw
Il 7 settembre 1986, venti anni fa, Augusto Pinochet era fatto oggetto di un attentato da parte del Frente Manuel Rodríguez. Il Mercurio pubblica un documento eccezionale, con tanto di ricostruzioni video su quell’avvenimento che avrebbe potuto cambiare la storia del Cile: http://www.emol.com/especiales/infografias/atentadopinochet/index.htm
Se vi piace la musica brasiliana d’autore (Eumir Deodato, Maria Bethania, Elis Regina, Flora Purim, Sergio Mendes e tanti altri) qui ci sono diversi album da scaricare in formato MP3: http://onaufrago.multiply.com/music
Foto, come sempre immancabili. Fotomino nel suo archivio (http://fotomino.blogspot.com/2006_08_01_fotomino_archive.html)
pubblica un reportage sui concheros messicani e su Città del Messico.
Sui siti amici, vi raccomando l’articolo “Bogotá è una città violenta?” su
http://bogotalia.blogspot.com; e il pezzo sul futuro della politica estera italiana in America Latina (http://verosudamerica.blogspot.com/).
Hasta pronto.

Wednesday, September 06, 2006

La lunga morte di Castaño

Carlos Castaño, il capo delle forze paramilitari colombiane, sarebbe morto davvero. I resti riesumati in un fossa nella regione di Valencia sono stati confermati come i suoi dalla prova del DNA.
Scomparso nell’aprile 2004, Castaño è stato il sanguinario capo delle AUC, le Autodefensas Unidas de Colombia. Per anni, il suo nome è stato associato alla violenza e ai traffici che i cartelli compivano grazie al suo appoggio.
La fine è giunta quando, prossimo all’estradizione negli Stati Uniti per rispondere dei suoi legami con il narcotraffico, Castaño si era detto disposto a collaborare pur di ottenere come garanzia la libertà. Il capo paramilitare sarebbe quindi stato ucciso in un regolamento di conti da un killer inviato dal proprio fratello, Vicente. Intanto, il governo di Uribe confezionava una generosa legge di amnistia che perdonava i quasi 33.000 soldati delle forze raccolte da Castaño durante gli anni. In cambio della smobilitazione ed il disarmo, anche qui è valsa la legge del perdono su stragi, esodi forzati, distruzione di villaggi e violenza sistematica.
Su Castaño pendevano 127 processi in cui lo si accusava praticamente di tutto: sequestro, massacro, estorsione, narcotraffico, omicidio.
La BBC offre un’intervista con Castaño, rilasciata nel 2001:
http://news.bbc.co.uk/hi/spanish/latin_america/newsid_1183000/1183430.stm
L’intervista, la dice lunga sul personaggio.
Le AUC, anche se smobilitate, hanno la loro pagina web:
http://www.colombialibre.org/

Tuesday, September 05, 2006

Messico: tutto secondo copione

Tutto secondo copione: Calderón sarà confermato presidente del Messico. Le marce, le proteste, le richieste che si ricontassero i voti non sono servite: insomma, la prova di democrazia è fallita. D’altronde, come poteva essere possibile, in un paese che oramai appare alla deriva, incapace di scappare alla morsa della corruzione e del narcotraffico, dove la collusione tra delinquenza e potere è diventata la norma.
La stessa votazione della Corte del tribunale elettorale, che si svolgerà alle otto di mattina di oggi martedì, è già stata annunciata con almeno sedici ore di anticipo: i giudici dichiareranno vincitore Felipe Calderón. Il sistema ha di nuovo vinto: la politica è ancora e sempre quella dove i voti si comprano in cambio di promesse, dove si mantiene la relazione di dipendenza con cittadini solo di nome, che non sanno e non possono alzare la testa per fare valere i propri diritti. Le stesse regole che i messicani si sono dati fanno della loro democrazia una barzelletta. Non si possono infatti ridiscutere i dati di una elezione: come abbiamo imparato nella vicenza Bush-Gore negli Usa, anche qui vince il più furbo.
Intanto, fuori dalla sede del tribunale i simpatizzanti di López Obrador hanno innalzato tende da campagna per una vigilia tesa, resa ancor più drammatica dall’annuncio dei soliti bene informati che Calderón sarà presidente. L’ultima notizia è l’appello di López Obrador all’esercito perchè non usi la forza contro le centinaia di migliaia di manifestanti che si aspettano nelle piazze per protestare l’elezione di Calderón.
Il blog di un fantomatico López Obrador:
http://andresmanuel.blogspot.com/
Un altro blog a favore del candidato della sinistra: http://www.blogsporamlo.com.mx/
Sul discorso mancato del primo settembre di Vicente Fox, vi rimando a: http://verosudamerica.blogspot.com

Monday, September 04, 2006

I carcerati, gli schiavi del futuro

Il futuro delle carceri? Il settore privato. A questa conclusione sono giunti in Honduras di fronte al caos e all’incapacità delle autorità di mantenere l’ordine. Di privatizzare le carceri se ne parla da tempo: il settore privato ha subodorato il grande affare e diverse imprese hanno presentato progetti in molti paesi dell’America Latina. Lo Stato non ne vuole più sapere dei rei e della loro condotta perchè costano e non sono produttivi. L’azienda privata li metterà a lavorare e a intascare un profitto. Sui metodi, per il momento si sorvola.
Sono quattro i Paesi latinoamericani dove esistono carceri private: Argentina, Cile, Porto Rico e Brasile. L’Honduras sarà quindi il quinto della serie. Attualmente la nazione centroamericana destina all’anno la ridicola somma di 8 milioni di dollari per undicimila carcerati. Questo significa, al giorno, 0,45 centesimi di dollaro per poter mangiare. In pratica, sono quindi le famiglie dei reclusi a farsi carico delle loro necessità (alimentari e mediche, soprattutto), mentre all’interno del carcere le regole di sopravvivenza vengono fatte dalle maras, le pandillas. Negli ultimi due anni più di 350 carcerati sono morti durante i regolamente di conti tra le bande rivali e con la polizia. Che il sistema carcerario dell’Honduras sia al collasso si deve alla mancanza di politica sociale attuata negli ultimi anni dall’ultimo presidente, Ricardo Maduro, la cui linea dura (“sbattiamoli dentro e che poi si arrangino”) ha trasformato le carceri in un inferno dove non c’è spazio per progetti di recupero e di reinserimento nella società.
A gestire le prigioni dell’Honduras sarà la israeliana Noa Group, che si dice esperta in questo campo. Possiamo immaginare uno scenario del futuro? Se le carceri passano a mano private ed i prigionieri diventano parte di un ingranaggio del profitto, chi avrà poi interesse a rilasciarli? Le pene saranno più severe e l’azienda di turno avrà tutto da guadagnare a tenere le carceri piene, perchè significherà più mano d’opera ad un costo risibile. Serviti su un piatto d'argento, ecco quindi gli schiavi della società del futuro.

Saturday, September 02, 2006

Bombe a Cancún

Ritornano le bombe nelle redazioni dei giornali messicani. Questa volta è toccato a “Por Esto”, agli uffici di Mérida, nello Yucatán. Quattro uomini hanno lanciato due granate nella sede: una è scoppiata, mentre l’altra è rimasta inesplosa. Per fortuna i danni sono stati solo materiali. Già nei giorni scorsi –il 23 agosto- due giornalisti del quotidiano erano stati attaccati con bombe molotov negli uffici che il giornale ha a Cancún.
Dietro gli attentati c’è naturalmente il narcotraffico, che da mesi ha trasformato Cancún e la regione di Quintana Roo in un campo di battaglia.
Da anni le organizzazioni civili stanno avvisando della filtrazione dei cartelli nel tessuto sociale dello Yucatán. A renderla possibile è stata la collusione che la delinquenza ha trovato con il potere; lo stesso registro che ha fatto di Ciudad Juárez e della Bassa California due regioni governate dagli interessi misti del narcotraffico e dei politici corrotti. Cancún ha seguito la stessa sorte. A fianco dei grossi investimenti effettuati per lo sviluppo di una città che è diventata un centro turistico di fama internazionale, ci sono i soldi del narco.
Le bombe a “Por Esto” sono l’avvertimento per chi ha il coraggio di segnalare e di denunciare la corruzione. Le foto con i danni alla redazione si trovano nella pagina web del giornale:
http://www.poresto.net/v06/index.php

Friday, September 01, 2006

Tompkins, milionario ambientalista

Cosa ci fa Douglas Tompkins con 600,000 ettari di territorio argentino e cileno? Tompkins da circa quindici anni sta comperando terreni vergini, equamente divisi tra le due nazioni sudamericane. Secondo le sue dichiarazioni, l’acquisto è dovuto solamente per la buona causa della preservazione dell’ambiente: la riserva Pumalín, in Cile, ne è la testimonianza diretta (http://www.pumalinpark.org/content/index.htm).
Tompkins, 63 anni, ha fatto i milioni fondando la firma Esprit (
http://www.esprit.com/?flash=1), -la moglie è quella che inventò la marca Patagonia-
salvo poi abbandonare l’impresa (ma non il capitale) per trasformarsi nel primo milionario ambientalista. Nemico della globalizzazione e del consumismo, è convinto che solo il mecenatismo può salvare l’ambiente dalla distruzione.
In Cile ed in Argentina gli sono addosso. In quest’ultimo paese si sta cercando di far votare una legge per espropriare i terreni di Tompkins situati nella regione di Corrientes. Il nodo della questione è abbastanza semplice. Il milionario, infatti, dispone del controllo delle principali fonti acquifere di Corrientes ed il governo argentino non sembra essere disposto a tollerarlo. Secondo le fonti governative, la filantropia ecologica di Tompkins non sarebbe che uno specchio per allodole. El gringo non avrebbe fatto altro che deviare i suoi affari dall’abbigliamento all’ambiente, reputato appunto l’affare del futuro. Acqua, boschi, legname, il sottosuolo possiedono le preziose risorse che determineranno la qualità della vita nel futuro. Tutto a scapito, poi, delle sovranità nazionali.
“Io non sono il problema, sono la soluzione” ripete Tompkins, che insiste nel difendere il suo modello di conservazione dell’ambiente. Le sue idee sono esposte in questa intervista a Diario Epoca:
http://www.diarioepoca.com/2005/08/21/foco/2_douglas.php
Lungi dall’essere preoccupato dalla posizione del governo argentino, Tompkins continua a comperare: vuole essere lui e solo lui il re della Patagonia.