blog americalatina

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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Tuesday, July 31, 2007

Fujimori perde in Giappone

Giusto per la cronaca: Fujimori non è stato eletto al Senato giapponese. Per lui solo poco più di novemila voti, quarto tra gli aspiranti senatori del suo partito, l’NHK. Il Nuovo Partito dei Cittadini, la forza di destra che presentava El Chino in lista, ha ricevuto alla fine pochissime preferenze, 679.054 in totale. I giornali peruviani parlano di “sconfitta umiliante” ma intanto, svanito il sogno giapponese, che avrebbe potuto dargli qualche opportunità in più nell’eludere la giustizia, Fujimori non si dispera più di tanto. Gli arresti domiciliari del Chicureo somigliano infatti più a una vacanza che a una prigionia. Il Chicureo è un quartiere esclusivo nei dintorni di Santiago. Dategli un’occhiata: www.haciendachicureo.com (piscina, tennis, golf e sport equestri sono a portata dei suoi residenti) e vi renderete conto che sì vale la pena burlarsi dei diritti umani.
Alan García, intanto, nel messaggio presidenziale dopo il primo anno di presidenza, ha chiesto ai peruviani un patto sociale di lavoro comune e non aggressione. Dopo aver promulgato un pacchetto di leggi fasciste, l’ex golden boy della politica latinoamericana, cerca di smorzare i toni. “Il Perù tra quattro anni sarà un posto migliore di oggi” ha detto. Insomma, come sempre: pazienza peruviani e per il resto sofferenza come pane quotidiano.

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Saturday, July 28, 2007

Le multinazionali hanno sempre ragione

La Drummond è una delle tante multinazionali con sede negli Stati Uniti che sfruttano il suolo ed il sottosuolo nelle nazioni dell’America Latina. Specializzata nell’estrazione del carbone, la Drummond da anni opera in Colombia, dove estrae il 50% del carbone di questo Paese. La sua sede è a Birmingham, in Alabama, e qui si è tenuto il processo penale voluto dal sindacato colombiano Sintraminergetica per chiarire le responsabilità della Drummond nella morte di tre suoi affiliati avvenuta nel 2001.
Secondo l’accusa, l’azienda avrebbe pagato i paramilitari colombiani per eliminare fisicamente Victor Hugo Orcasita, Valmore Locarno e Gustavo Soler che avevano chiesto a più riprese alla dirigenza il miglioramento delle condizioni lavorative per i minatori. Tre seccatori e ficcanaso giustiziati sommariamente dagli irregolari di destra in uno dei tanti favori che –come insegna il caso Chiquita- sono disponibili a fornire a chi paga soldoni per la protezione.
La giuria dell’Alabama ha detto no al reclamo, assolvendo la Drummond di ogni responsabilità. La notizia, di per sè scontata, conferma la necessità di portare i processi direttamente sui luoghi dove i fatti di cronaca succedono. Le tragedie causate dalle multinazionali –ricordiamo il Nemagón- non possono essere giudicate in sedi lontane migliaia di chilometri, dove i tribunali difendono gli interessi dell’azienda di casa.
Sicura di non dover rispondere alla giustizia, la Drummond non sembra aver mutato nel tempo i propri metodi, come riporta una denuncia di Amnesty International dell’anno scorso:
http://web.amnesty.org/library/Index/ESLAMR230302006?open&of=ESL-394
Un omicidio, intimidazioni e pestaggi sono documentati nel documento.
La vicenda del processo di Birmingham è invece riportata dal Seattle Times: http://seattletimes.nwsource.com/html/nationworld/2003778215_webcoal06.html

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Wednesday, July 25, 2007

1500 medici da Cuba

La notizia dà un poco di speranza. Erano arrivati a Cuba sei anni fa, la maggior parte di loro dai paesi più poveri dell’America Latina e dell’Africa, ma anche dagli Stati Uniti. Ieri, in 1500 si sono laureati in medicina e sono pronti per tornare a casa.
Per alcuni non è ancora finita. Brasiliani e argentini dovranno trovare il modo di fare convalidare il titolo accademico, mentre gli statunitensi devono obbligatoriamente frequentare altri due anni nel loro sistema universitario per vedersi omologare la laurea.
Ciò nonostante, mentre per studiare a Cuba non hanno speso un dollaro, negli Usa avrebbero dovuto investire tra i 200.000 ed il mezzo milione di dollari, dipendendo dall’università.

I 1500 medici laureati sono solo i primi di un ambizioso programma che vuole formare 150.000 dottori in dieci anni in quella che Fidel Castro ha chiamato la “rivoluzione dei camici bianchi”. L’impatto, se si arriverà fino in fondo, si sentirà senza dubbio soprattutto in quei paesi (Bolivia, Honduras, Salvador, Venezuela, Nicaragua) dove per mancanza di opportunità molte zone rurali sono abbandonate al loro destino in quanto ad educazione e salute. Al di là della retorica, in tempi dove la carriera di medico è vista come una maniera di arricchirsi, l’approccio umanitario dei medici laureati da Cuba è una boccata di aria pura.

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Tuesday, July 24, 2007

Alan García: prove di fascismo

Alan García continua con la sua pericolosa politica autoritaria. Abolito il dialogo, a pochi giorni dagli scioperi che hanno scosso il Perù, il presidente ha firmato un pacchetto di undici decreti legge che, invece di combattere terrorismo e narcotraffico, come era stato detto, si è rivolto invece contro lo svolgersi della vita democratica del Paese. Pene severe, durissime, per chi organizza scioperi: 35 anni di prigione, mentre qualsiasi funzionario pubblico che vi partecipi otterrà in cambio il licenziamento. Venti anni di carcere, invece, per quei maestri che inviteranno gli alunni minorenni ai cortei.
Il provvedimento è la risposta dello Stato a tutte quelle autorità locali che nei giorni scorsi avevano appoggiato i movimenti di protesta che avevano infiammato le città. La misura vuole troncare sul nascere qualsiasi forma di sostegno alla protesta delle parti sociali, mirando a spaccare in due la società peruviana.
Ma non è tutto, perchè García, che ha sempre subito il fascino della divisa, non si è fermato qui. Ha infatti modificato l’articolo 20 del Codice penale, regalando l’impunità a qualsiasi militare che –così recita il testo- “nel compimento del proprio dovere e usando in forma regolamentare le armi in dotazione causi lesioni o morte”.
Niente processi per i soldati che ammazzeranno i manifestanti, come nelle peggiori dittature. Un testo che è praticamente un invito alla repressione più becera, che fa a pezzi lo Stato di diritto. Un passo indietro nell’abisso delle leggi dittatoriali, che hanno causato tragedie e stragi nell’America Latina del passato. Secondo Mario Amoretti, penalista peruviano, nemmeno Fujimori era arrivato a tanto.
Su La República, il pacchetto di leggi:
http://www.larepublica.com.pe/content/view/168412/483/

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Thursday, July 19, 2007

Noriega tra Francia e Panama

Si avvicina la fine della condanna per Manuel Noriega e si allunga anche la fila di chi lo vuole per rinchiuderlo di nuovo. L’ex generale di ferro della Guardia Nacional panamense è richiesto dai suoi e dalla Francia, paese dove aveva deviato ingenti quantità di denaro provenienti dalle sue varie attività illecite.
Nel destino di Noriega c’è comunque il carcere: la scelta è tra i dieci anni nelle prigioni francesi ed i circa quaranta che gli spettano di diritto se torna in patria. L’ex agente della Cia preferirebbe l’aria di casa. Una volta a Panama, infatti, chiederebbe la revisione dei processi e magari riuscirebbe ad ottenere alcuni privilegi, difficilmente ottenibili in Europa. La difesa sta insistendo: secondo il suo avvocato, Noriega è un prigioniero di guerra ed una volta scontata la condanna deve essere reinviato al paese d’origine.
I suoi nemici sono divisi: c’è chi lo vorrebbe per farlo marcire dietro le sbarre e chi invece lo manderebbe in Francia per evitare che, con la sua influenza, Noriega riesca di nuovo a dividere i panamensi.
Faccia d’ananas ha oggi 71 anni e nutre un forte risentimento nei confronti dei suoi ex amici di Washington che l’hanno usato e poi tradito. Per gli Usa, però, Noriega non è più una minaccia. Negli anni passati ha detto tutto quello che doveva dire e nessuno sembra se ne sia scandalizzato. Due, in particolare, gli sgarbi che decretarono la caduta di Noriega: non “prestare” Panama per invadere il Nicaragua sandinista ed il rifiuto di implicare Fidel Castro con il narcotraffico. Sgarbi che costarono caro a Cara de piña.
Su youtube, le bugie su quell’invasione:

http://www.youtube.com/watch?v=VMij_K7Rd_g&mode=related&search=

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Wednesday, July 18, 2007

Il fantasma della Penca

Nelson Murillo è un sopravvissuto. Nel maggio 1984, nella sua qualità di giornalista, partecipava alla conferenza stampa del Comandante Cero nella località della Penca quando un’esplosione squassò l’improvvisata sala della riunione.
Il bersaglio della bomba era l’ex comandante sandinista, passato a comandare la rivolta sulla frontiera sud del Nicaragua. Edén Pastora riportò solo delle ferite superficiali, ma tre giornalisti (gli inviati della Nación, del Tico Times e di Canal 6, tutti della Costa Rica) morirono mentre altri rimasero mutilati, come l’inviato della catena Abc.
L’autore dell’attentato fu riconosciuto in Roberto Vital, un avventuriero argentino, che si era fatto passare per un giornalista danese per ottenere il pass. Nella sua borsa nascondeva la bomba che fece detonare dopo averla abbandonata davanti al tavolo dove Pastora stava parlando.
Di lui, si disse che morì nel 1989 in un’azione a La Tablada, in Argentina, quando il gruppo Todos por la Patria cercò di impadronirsi di una caserma militare. In quell’occasione la risposta dell’esercito fu terribile ed il commando fu decimato. Il cadavere di Vital non apparve che mesi dopo ed i resti furono riconosciuti a malapena dai genitori (sui fatti de La Tablada, un’altra delle tante pagine nere dell’esercito argentino, vi rimando alla relazione dell’Osa:
http://www.cidh.oas.org/annualrep/97span/Argentina11.137.htm)
Le responsabilità di Vital a La Penca sono sempre state riconosciute. Lo stesso Pastora, quando lo intervistai, indicò l’argentino come autore del crimine: “La Cia e la Direzione nazionale sandinista si misero d’accordo per farmi fuori. Non sono io che lo dico, ma l’inchiesta svolta dai giornalisti che ebbero i loro compagni morti nell’attentato. L’autore materiale fu Roberto Vital, che era uomo di Renán Montero, a sua volta stipendiato da Noriega e dalla Cia. Entrambi, americani e sandinisti, avevano grande interesse a togliermi dal gioco e si unirono in questa operazione”.
Murillo, però, alla storia della morte di Vital alla Tablada non ci ha mai creduto ed ha continuato ad investigare. Ora, Vital –sotto falso nome- sembra essere davvero riapparso in Argentina. A morire alla Tablada sarebbe stato un suo compagno: Vital prese l’occasione al volo per sparire per sempre. L’attentato della Penca, lungi dall’essere stata un’azione di guerra, uccise e lasciò invalidi per il resto della loro vita a dei civili che nulla avevano a che vedere con le scelte di Edén Pastora. La causa penale è vigente ancora oggi. Vital, ora, è tornato sia alla vita che nella lista dell’Interpol.
L’intervista a Pastora si trova ancora in rete su questo sito:

http://dweb.repubblica.it/dweb/2003/09/13/attualita/attualita/023zer36723.html

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Monday, July 16, 2007

Il Perú in piazza

Il Perù si è mobilitato in questi giorni per chiedere aumenti salariali e rispetto dei diritti dei lavoratori. I manifestanti dicono no anche al Trattato di libero commercio con gli Stati Uniti (previsto ad agosto) e al crescente autoritarismo del presidente Alan García. Maestri, agricoltori, studenti, minatori e la Centrale dei lavoratori sono scesi in strada a protestare in quasi tutte le città peruviane, dalla capitale Lima a Tacna, Puno, Andahuaylas, Ayacucho, Arequipa. Il saldo è già di tre morti ed una trentina di feriti.
I maestri sono in sciopero dal 5 luglio e hanno intenzione di proseguire la loro protesta fino a quando il governo non si siederà a dialogare con loro. Ma García, di dialogare proprio non ne vuole sapere: giovedì ha fatto arrestare i dirigenti sindacali che guidano lo sciopero ed in seguito ha definito i sindacati delle “dittature”, promettendo che stroncherà con mano dura le rivolte. Cosa che García ha già fatto in passato, alla faccia della socialdemocrazia all’europea dell’Apra.
Nel blog dell’analista politico Raúl Wiener si possono seguire i fatti di Lima:
http://www.rwiener.blogspot.com/

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Friday, July 13, 2007

Niente estradizione per il Chino

Torno a parlare per la terza volta in pochi giorni di Fujimori, per dovere di cronaca. Come volevasi dimostrare il giudice cileno ha rifiutato l’estradizione, per cui il Chino potrà dedicarsi alla campagna elettorale in Giappone e a pensare seriamente come occupare gli anni che gli restano.
Il giudice Alvarez ha negato l’estradizione giudicando insufficienti le prove presentate dal governo peruviano.
Non mi è sembrato che le prove indicassero che Fujimori sia stato partecipe dei delitti che gli si imputano” ha dichiarato il giudice ai giornalisti.
I delitti possono essere stati commessi, però mancano gli elementi e i testimoni non sono presenziali” ha continuato. Alvarez nelle sue conclusioni ha improvvisamente dimenticato quanto espresso dalla Commissione per i diritti umani, che ha riconosciuto la responsabilità dello Stato peruviano quando era guidato con mano dura da Fujimori nei massacri di Barrios Altos e della Cantuta. Insomma, una visione della giustizia molto parziale.
La decisione di Alvarez dimostra quanto abbiamo scritto anteriormente e cioè che non esistono nè la volontà politica nè le condizioni perchè Fujimori venga mandato in Perù per essere giudicato dei suoi misfatti. Con buona pace anche della Bachelet, che aveva parlato nei giorni scorsi dell’indipendenza della magistratura cilena.

Le autorità peruviane hanno presentato appello.

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Thursday, July 12, 2007

No a Pascua Lama

Scavare un buco grande come una montagna e spostare due ghiacciai, forse tre. Queste le intenzioni della Barrick Gold, compagnia con sede in Canada, specializzata nell’estrazione dell’oro (http://www.barrick.com/) che si sta dedicando con profitto allo sfruttamento dei terreni di Veladero e Pascua Lama, situati sulle Ande tra il territorio di Cile ed Argentina.
La Barrick è la più grande compagnia del mondo che tratta il metallo pregiato, al punto da essere stata denunciata per pratiche monopolistiche, prima fra tutte il tentativo di stabilire, grazie alle proprie immense riserve, il prezzo internazionale dell’oro.
Sulle Ande la Barrick ha trovato –oltre all’oro-, anche l’argento e il rame. Per questo ha avviato un ambizioso piano che prevede la distruzione di due ghiacciai e, di conseguenza, di tutto l’ambiente a cui questi provvedono. La legge è dalla sua parte: il Trattato minerario firmato da cileni ed argentini con la Barrick, permette alla multinazionale di fare ciò che gli pare.
Per questo è in atto una mobilitazione internazionale, per ottenere almeno un aiuto dall’esterno che possa in qualche modo fermare i lavori su Pascua Lama.
Che cosa accade a quell’altitudine è sconosciuto ai più, ma la Barrick non è certo un’amica della natura. Un’interessante testimonianza di un ex lavoratore della Barrick, Freddy Espejo, racconta gli innumerevoli danni all’ambiente provocati sinora dalla compagnia sulle Ande:
http://www.ecoportal.net/content/view/full/45707/.
Cianuro versato nei torrenti, incendi provocati, uccisione di specie animali e così via: la verità stride decisamente con il motto che la compagnia usa nella sua pagina per il pubblico sudamericano, “Per un’industria mineraria responsabile”:
http://www.barrick.cl.
Sulle denunce raccolte dalla Barrick (in Usa, Australia, Cile, Filippine) vi rimando invece alla pagina in inglese su Wikipedia:
http://en.wikipedia.org/wiki/Barrick_Gold
L’invito è quello di firmare la petizione per fermare i lavori a Pascua Lama. Ci sono differenti siti che raccolgono firme. Tra questi: http://www.thepetitionsite.com/takeaction/946839131?ltl=1160061357
(Un grazie ad Enrico Peyretti per la segnalazione).

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Monday, July 09, 2007

Lula insiste sull'etanolo

Lula insiste: i biocombustibili sono buoni. La difesa è avvenuta nella prestigiosa sede di Bruxelles, dove il presidente brasiliano ha perorato la causa del combustibile del futuro davanti ai ministri europei. L’Unione europea vuole infatti trasformare i propri consumi e l’obiettivo per il 2020 è che almeno il 10% delle auto si muova con etanolo.
Lula, fiutata l’opportunità, ha messo le vesti del bottegaio e con veemenza ha dimostrato che il Brasile possiede l’etanolo di cui ha bisogno l’Europa, sempre e quando l’Unione rimuova ogni ostacolo doganale.
Secondo Lula, i biocombustibili sono democratici –perchè danno la possibilità a paesi privi di petrolio di generare energia-; solidali –perchè generano posti di lavoro-; internazionalisti –perchè aprono nuovi cammini all’esportazione-; rivoluzionari –perchè innovativi-. Per non parlare poi di una dose di realismo magico, che ben si applica quando si parla di America Latina: “Nel mio paese si sta riducendo la povertà, allo stesso tempo che cresce la produzione di biocombustibile”.
Lula è addirittura arrivato a parlare di un cartello internazionale avverso all’etanolo, “che non vuole che il Brasile diventi una grande nazione”. Insomma, non solo il futuro, ma la grandezza del Brasile passa per i biocombustibili e non c’è ideologia che possa tenere di fronte al nazionalismo e alle pressioni dei gruppi di potere.
Nessuna parola, naturalmente, sulle prime sequele provocate dalla produzione di etanolo, come il caro-tortilla in Messico o l’alta deforestazione illegale che ogni giorno impoverisce sempre più l’Amazzonia. Il buon bottegaio parla solo delle qualità dei suoi prodotti, non dei difetti.

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Friday, July 06, 2007

Osvaldo Romo, la morte di un infame

Il nome di Osvaldo Romo da noi dice poco o niente. Eppure, uno come lui ci starebbe benissimo nella Storia universale dell’infamia di Borges. Romo è stato torturatore e assassino nel Cile di Pinochet, temuto all’interno della stessa Dina della quale faceva parte. È morto ieri, minato dal diabete e da altre malattie, nell’ospedale del penitenziario di Santiago dove era finito a parare nei suoi ultimi giorni per pagare almeno in parte le centinaia di morti e di violazioni di cui si era reso autore.
Romo si guadagna un posto particolare nella galleria degli infami perchè, cresciuto ideologicamente all’interno del Mir (il Movimiento de Iziquierda Revolucionario), tradì amici e compagni per schierarsi apertamente con la dittatura, rivelando non solo nomi e obiettivi, ma partecipando in prima persona alle sessioni di tortura e agli omicidi. Leader socialista sotto Allende, Romo aveva conosciuto a fondo i quartieri popolari di Santiago dove organizzava cortei e comizi. Una volta passato alla Dina, riempì liste lunghissime con i nomi delle persone che lo avevano aiutato e che avevano lavorato con lui. Quando i prigionieri arrivavano a Villa Grimaldi, procedeva lui stesso agli interrogatori, usando i più crudeli metodi di tortura. Secondo gli atti dei processi, che lo hanno poi condannato a diciassette anni di carcere, Romo violentava tutte le donne che venivano arrestate per poi vessarle fino alla morte.
La crudeltà con cui attuava mise in imbarazzo lo stesso regime, che decise di mandarlo in Brasile. Nel 1992 venne arrestato e riportato in Cile. Al suo arrivo rilasciò un’intervista dove disse: “Farei di nuovo tutto e anche peggio. Non ne lascerei uno vivo. Questo è stato l’errore della Dina: non averli ammazzati tutti”.
Romo è morto solo. Nei quindici anni trascorsi dopo il suo ritorno in Cile nessuno l’ha più visitato, ancora meno moglie e figli (cinque) che vivono in Brasile, a San Paolo. Negli ultimi tempi aveva chiesto il perdono dei famigliari delle sue vittime, scrivendo una lunga memoria nella quale cercava un improbabile perdono.
Qui, in un’intervista nel 1995:
www.memoriaviva.com/culpables/criminalesr/romo.ram

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Thursday, July 05, 2007

Carlos Slim batte Bill Gates

In questi giorni si parla di nuovo di Carlos Slim e della sua ricchezza. Secondo uno studio pubblicato da Sentido Común, un sito internet specializzato in finanza (http://www.sentidocomun.com.mx/), Slim è attualmente l’uomo più ricco del mondo, togliendo il primo posto a Bill Gates. La breccia tra i due sarebbe a favore del messicano per novemila milioni di dollari grazie all’aumento registrato dalle azioni di América Movil. Il giornalista autore dell’articolo, Eduardo García, ha usato proprio il valore delle azioni di cui Slim è proprietario per calcolare l’attuale fortuna del magnate messicano, 67.800 milioni di dollari. Slim possiede il 33% di América Movil, il 43% di Teléfonos de México, il 77% di Carso, il 71% di Inbursa, il 72% di Ideal ed il 50% di UsCom, tutte aziende floride ed in costante espansione.
La rivista specializzata Forbes ha però subito rifiutato la notizia. Al momento per Forbes –l’ultimo conteggio è stato fatto ad aprile- la fortuna di Gates vale 56.000 milioni di dollari, mentre quella di Slim sarebbe invece ferma a 53 mila. Il prossimo conteggio si farà nel marzo del prossimo anno.
Slim, che iniziò a lavorare nella bottega del padre, è stato prima palazzinaro e quindi si è fatto ricco grazie alla campagna di liberalizzazioni che Carlos Salinas de Gortari promosse all’inizio degli anni Novanta. Lo Stato messicano si liberò dell’azienda telefonica nazionale proprio quando iniziava la rivoluzione nelle telecomunicazioni: una pacchia per Slim che con una cordata comprò Telmex a prezzo di saldo per trasformarla in pochi anni in un colosso più potente della British Telecom. Baciato dal neoliberalismo, Slim negli ultimi anni si è dato alla filantropia e ha più volte criticato il sistema che gli ha fatto fare fortuna: si interessa poco del sociale, dice.

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Wednesday, July 04, 2007

L'ultimo samurai

Detto, fatto: Fujimori non sarà estraditato in Perù almeno fino al prossimo anno. Alla base del ritardo c’è ovviamente un cavillo legale. Il governo peruviano ha presentato infatti solo il 13 giugno scorso una nuova accusa contro l’ex dittatore –quella che lo vuole coinvolto nella morte di 41 detenuti del carcere Miguel Castro- e, secondo la giustizia cilena, il processo di estradizione deve ora seguire un ulteriore iter per valutare anche questa denuncia.
Fujimori nei giorni scorsi ha accettato la candidatura offertagli dal Kokumin Shinto, partito di destra, per presentarsi alle elezioni per il Senato giapponese. La scelta, dettata ovviamente per ostacolare la resa dei conti con la giustizia peruviana, secondo Amnesty International non gli garantirà l’immunità tanto agognata. Resta il fatto che El Chino continua a segnare punti a proprio favore ed il coinvolgimento del Giappone ha dato nuovi ed inaspettati sviluppi a tutta la vicenda.
Secondo la stampa giapponese, però, la candidatura di Fujimori si risolverebbe in un fallimento. Il Kokumin Shinto, che celebra l’ex presidente del Perù come l’Ultimo samurai, secondo i sondaggi otterrebbe infatti solo l’1% dei voti dell’elettorato. Staremo a vedere.
In Perù, intanto, infuria la polemica. Secondo alcuni analisti il ritardo con cui è stata presentata l’ultima denuncia confermerebbe che non esiste volontà politica, da parte del presidente Alan García, di gestire il caso Fujimori in casa. Cambio 90 –Alianza por el futuro nelle ultime elezioni-, l’aggrupazione fondata dal Chino, ancora oggi mantiene tredici deputati nel congresso peruviano, numero che gli permette una certa influenza alla quale García non vuole rinunciare.

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Monday, July 02, 2007

Colombia tra acredine e cinismo

Sono passati quattro giorni dall’annuncio delle Farc della morte degli undici deputati del Valle. Un tempo sufficiente per aver assimilato una notizia che ha causato dolore e costernazione e che ha reso vano ogni sforzo compiuto finora per un negoziato valido sulla liberazione dei prigionieri in questo conflitto.
Mentre le parti si scambiano reciproche accuse e il vero dramma degli ostaggi passa come sempre in secondo piano, risalta sulla vicenda l’ostilità di Uribe contro tutto e tutti. Il presidente colombiano accusa le Farc, i paesi europei che chiamano ai negoziati (Spagna, Svizzera e Francia) e le stesse associazioni delle vittime, che gli chiedono a tutta ragione spiegazioni su quanto è realmente avvenuto ai loro cari.
La domanda alla quale vogliono dare una risposta è semplice: perchè le Farc avrebbero ucciso deliberatamente –come sostiene il governo- gli undici deputati, quando questi erano considerati un’impagabile “merce di scambio”.
Uribe parla molto, ma in realtà non risponde. Si trincera dietro gli slogan di sempre e, con l’arroganza che lo contraddistingue, non guarda in faccia nemmeno il dolore dei familiari. Lo Stato non dà risposte, anzi approfitta della tragedia personale di undici famiglie per riproporre slogan politici e campagne di immagine.
All’acrimonia di Uribe fa riscontro il cinismo delle Farc che parlano del fuoco incrociato come la causa della morte degli undici deputati: tutti sanno che, in caso di attacco ai loro accampamenti, i guerriglieri hanno l’ordine di uccidere i prigionieri.
La Colombia, insomma, è presa tra due fuochi.
Il sito dei familiari delle vittime:
http://www.paislibre.org
Il Comando d’occidente delle Farc dice la sua sui fatti del 18 giugno: http://www.resistencianacional.net/

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