blog americalatina

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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Friday, June 30, 2006

Il nemico dei maestri

Il Messico è ormai vicino alle elezioni e l’invito alla calma chiesto da diversi settori è più che giustificato. I fatti di Atenco, le stragi del narcotraffico, gli scandali che sorgono come funghi sono stati il corollario a un clima politico arroventato, che non ha risparmiato nessuno. Anche tra i candidati, gli insulti sono stati all’ordine del giorno. Spesso, vedendo la televisione messicana ed il suo panorama politico, il paragone tra Messico ed Italia sorge spontaneo. Per molti versi i due Paesi, dotati di un grande passato e di una grande cultura, si dimenano in un’attualità piatta dove ad emergere sono solo i truculenti fatti di cronaca ed una serie di scialbi e indecorosi personaggi.
Qui, tra gli ultimi arrivati c’è Ulises Ruiz, governatore della regione di Oaxaca che, due settimane fa, ha ben pensato di rispondere ad una pacifica manifestazione dei maestri mandando la polizia in assetto di guerriglia. Tremila agenti antisommossa hanno represso a ferro e fuoco la protesta degli insegnanti, dando un pratico esempio di cosa significhi esercitare il potere democratico di questi tempi.
Ruiz è la classica figura del politico arrampicatore. Amico dell’ex governatore, ha vinto le elezioni grazie ad una frode che non è stata possibile portare davanti alla magistratura (compiacente). “Più intollerante di Murat” dice chi lo conosce bene. Da quando è governatore sta tirando la volata per il suo generale, Roberto Madrazo, il candidato del Pri e per ottenere fondi ha praticamente svuotato la tesoreria di Oaxaca, regione ad alta concentrazione indigena che non si dibatte certo nella prosperità. Teniamolo d’occhio perchè, sicuramente, si prospetta per lui un gran futuro.
I maestri, intanto, continuano a protestare per chiedere la liberazione di chi sta ancora in carcere.
Galleria fotografica sulle manifestazioni dei maestri:
http://mexico.indymedia.org/tiki-browse_gallery.php?galleryId=43
Il comunicato delle Farp (Fuerzas Armadas Revolucionarias del Publo) sui fatti di Oaxaca: http://www.kaosenlared.net/noticia.php?id_noticia=20336
L’intervento del sub-comandante Marcos:
http://www.adital.com.br/site/noticia.asp?lang=ES&cod=23120
Se volete sentire la viva voce di Ruiz (non vi perdete molto nel caso non lo voleste):
http://uruiz.senado.gob.mx/uruiz800.html

Thursday, June 29, 2006

I prigionieri di Guantánamo

I prigionieri di Guantánamo stanno parlando e le loro esperienze fanno accaponare la pelle. Una cosa è certa: il mondo occidentale, al quale ci vantiamo di appartenere, ha toccato il fondo con questa galera tropicale. Qui, un’intervista a un ex galeotto, Moazam Begg: http://www.continente.nu/castellano/artiklar/artikelPost.cfm?show=1664&sammaKategori
Guantánamo si trova a Cuba, di fronte allo stretto che guarda ad Haiti, come enclave ottenuto con la forza nel 1898 in seguito alla guerra contro la Spagna, dagli Stati Uniti. Da allora –sono passati 108 anni- gli Usa occupano questo lembo di terra cubana in forma illegale e in barba alle risoluzioni dell’Onu contro le politiche coloniali. Naturalmente, Guantánamo (che ha dato anche il nome alla famosa canzone “Guantanamera”) è preziosa per gli Stati Uniti. Da anni è usata non solo come base militare, ma come carcere per tutti quei cubani, haitiani o dominicani che hanno cercato di raggiungere senza fortuna le coste della Florida.
Dal 2004 le cose sono cambiate con l’arrivo dei membri di Al Qaeda e degli altri gruppi terroristi (“combattenti nemici illegali” è il termine usato). La scelta è caduta su Guantánamo perchè la base racchiudeva argomenti giuridici che avrebbero salvato l’immagine internazionale degli Usa. La sovranità sul territorio è infatti ufficialmente di Cuba, per cui i detenuti, trovandosi legalmente fuori dagli Stati Uniti non avrebbero avuto alcun diritto a cui appellarsi per la loro detenzione. La Corte Suprema ha poi rifiutato questa argomentazione, stabilendo che i prigionieri di Guantánamo hanno diritto a regolare processo. La decisione di Bush di rilasciare i detenuti, quindi, non si deve ad un atto di buona volontà come si è voluto far credere nelle ultime settimane, ma al timore di vedere coinvolta la propria amministrazione in costosissimi processi dal finale tutto da verificare.
Tra torture e suicidi, Guantánamo è diventato l’ennesimo motivo di vergogna ed imbarazzo per gli Usa. Qui, il rapporto di Amnesty International:
http://web.amnesty.org/pages/guantanamobay-index-esl

Tuesday, June 27, 2006

No in Italia, Sì all'estero

Come era facilmente pronosticabile, all’estero ha vinto il Sì. Naturale e logico, e controcorrente secondo le recenti elezioni politiche, indicazione che ci permette di sottolineare la nostra convinzione del disinteresse con cui è stato trattato il tema delle riforme costituzionali nei collegi esteri (qui l’odissea di un venezuelano dal doppio passaporto: http://brunospelorzisilva.blogspot.com/2006/06/mi-compromiso-con-italia.html).
In Sudamerica, addirittura, i risultati sono stati l’esatto contrario che nella penisola: 62,9% per il Sì, 37,1% per il No con percentuali da apoteosi a favore della riforma un po’ dappertutto: Perù (79,2%), in Paraguay (79,1%), in Cile ed Ecuador (74,8%), in Colombia (73,8%), in Brasile (73,4%) ed in Bolivia (70,7%). È cambiato tutto in poco più di un mese? Gli elettori che dall’estero hanno decretato la vittoria della sinistra si sono già tirati indietro?
Ognuno può trarre le conclusioni che crede. Rimane però la consapevolezza di un voto monco, volutamente lasciato al destino: un’indicazione che, dopo i grandi proclami di aprile, butta male per il futuro dell’elettorato estero. Statistiche alla mano su:
http://www.referendum2006.interno.it/

Monday, June 26, 2006

Da Aracataca a Macondo

Aracataca è andata al referendum. I concittadini di Gabriel García Márquez, circa ventimila, sono stati chiamati dal sindaco a decidere se cambiare il nome alla cittadina e dare vita a Macondo, la capitale del realismo magico.
Nella sua gioventù, lui e i suoi uomini, con donne e bambini e animali e ogni sorta di utensili domestici, avevano attraversato la sierra in cerca di uno sbocco sul mare, e dopo ventisei mesi avevano abbandonato l’impresa e fondato Macondo per non dover intraprendere il cammino di ritorno”.
Lui, naturalmente è Aureliano Buendía, uno dei patriarchi più famosi della letteratura mondiale. Aracataca è stata fondata nel 1885 e fino ad oggi, a parte dare i natali a Gabo, si è trascinata placida come i pomeriggi che qui si vivono, caldi e immutabili.
Aracataca è povera, non offre alcun interesse, a parte il museo dedicato a García Márquez. Il sindaco, che si chiama Pedro Sánchez è il perfetto esempio di sindaco globalizzato, che pensa come fare il bene della propria comunità al passo dei tempi. Quale migliore idea quindi che quella di sfruttare l’unico patrimonio locale? La ricerca di Macondo, che poi in fondo è il villaggio interiore, il richiamo della frontiera che portiamo dentro di noi, sarebbe quindi terminata grazie a questa iniziativa. Chissà, poi, che non si inventino anche la casa di Aureliano Buendía seguendo il classico stile gringo. D’altronde, se esiste Disneyland perchè non dare un’opportunità anche a Macondo?

Un link ottimo su García Márquez ed il suo mondo (nella foto la casa dell'infanzia di Gabo):
http://www.themodernword.com/gabo/

Sunday, June 25, 2006

Messico al voto tra novità e tradizione

Finita l’ubriacatura mondiale, il Messico mette da parte il calcio per buttarsi nella politica. Le elezioni presidenziali sono dietro la porta, il 2 luglio, e l’ultima settimana di comizi diventa cruciale. Tre i candidati divisi da una manciata di punti percentuale: López Obrador, della sinistra; Madrazo del PRI e Calderón del PAN di governo.
Tre candidati per tre maniere distinte di vedere e vivere il Messico, che si caratterizzano anche per regioni e ragioni geografiche. Il nord benestante e religioso, dove i caudillos comprano con promesse e minacce i voti della maggioranza povera e sfruttata, appoggia la candidatura di Felipe Calderón (
http://www.pan.org.mx/), che garantirebbe la continuità di altri sei anni all’insegna del PAN. Il Messico non è cresciuto durante l’amministrazione Fox, si è indebolito internazionalmente e non ha promosso nessuna politica di riscatto, che sia sociale o economica. Ciò nonostante, ha assicurato la crescita dei capitali già consolidati e la protezione delle politiche neo liberali, che sono poi quelle che permettono di vincere elezioni e scranni al Congresso. Calderón, un avvocato 44enne, lo dice chiaramente nei suoi spot di televisione di volere difendere il Messico dei valori: un ritornello che ricorre nella destra europea e latinoamericana, ma che non apporta nulla di nuovo.
López Obrador,
http://www.lopez-obrador.com.mx/ ex sindaco di Città del Messico, è ancora in vantaggio nei sondaggi. 53 anni, candidato progressista piace ai circoli illuminati capitalini ed anche nelle zone rurali: la speranza è che possa dare avvio a politiche sociali che possano almeno arginare la povertà. Sono almeno 50 milioni, la metà della popolazione, i messicani poveri, una nazione nella nazione che reclama pane e diritti.
Il PRI, che presenta Roberto Madrazo (
http://www.pri.org.mx/estadetulado/index.html), è di nuovo allo sbando. Il partito che ha governato il Messico come una “dittatura democratica” per settanta anni è ancora diviso. Ciò nonostante, può ancora contare con una discreta macchina organizzativa che tratta il voto nella maniera tradizionale, ossia come merce di scambio. Mai come negli ultimi tempi il voto vale in America Latina. Per questo fa paura ai gruppi di potere, che fino a pochi anni fa potevano controllare l’elettorato con il minimo sforzo. L’avvento di candidati di rottura (da Chávez a Lula, da Vázquez a Humala, e ancora Morales e López Obrador) ha mutato la relazione cittadino-governante. La maggioranza sfruttata e dimenticata (almeno fino al momento del voto) sta scoprendo di poter fare valere la propria volontà attraverso una piccola croce su una scheda. Prossima conferma, il Messico appunto.

Saturday, June 24, 2006

Eielson e Stagnaro a Genova

Abbiamo dato alcuni giorni fa un paio di link sul poeta ed artista visivo peruviano Jorge Eielson. Casa America di Genova ospita martedì prossimo nell’ambito del congresso “Parole e idee, andata e ritorno. Le relazioni culturali e linguistiche tra Europa ed America Latina” la serata dedicata ad Eielson, con l’esposizione di alcune sue opere.
La mostra rimarrà aperta fino a venerdì 30 giugno dalle 10 alle 12 e dalle 15.30 alle 18.30.Oltre a quello su Eielson, il congresso prevede un omaggio anche all’opera di Juan Bautista Stagnaro, regista e scrittore, che sarà presente a Casa America lunedì 26 giugno alle 20.30. Gli incontri si terranno a Villa Rosazza (piazza Dingero, 3). Il programma del congresso è consultabile sul sito
www.iberistica.unige.ito

Friday, June 23, 2006

Costa Rica e libertà di stampa

Torniamo a parlare di Costa Rica e per un tema critico, più volte sollevato in America Latina, quello della libertà di stampa. Nonostante i proclami di lunga traiettoria democratica, la Costa Rica vanta una legge obsoleta che ora, per l’iniziativa di un deputato del partito di governo (Liberación Nacional), si vuole rendere ancora più severa. In particolare, mentre la tendenza internazionale è quella di depenalizzare i reati a mezzo stampa, in Costa Rica si vogliono incrementare queste pene. La Sala costituzionale ha ratificato il valore di una legge del 1902 (ossia, di 104 anni fa) che prevede quattro mesi di carcere per i giornalisti trovati colpevoli di diffamazione.
Già due anni fa il Paese venne condannato dalla Corte Interamericana per i Diritti Umani per il caso del giornalista Mauricio Herrera, che un tribunale locale aveva inviato in carcere. La colpa di Herrera fu quella di riportare in un reportage delle dichiarazioni provenienti da un quotidiano belga. Altri tre giornalisti di “Diario Extra” hanno seguito la stessa sorte. Quello che sarebbe normale amministrazione per la stampa di altri Paesi, non lo è in Costa Rica, dove la piccola oligarchia locale fa e disfa le leggi secondo le proprie necessità.
Due giornalisti, Ivannia Mora e Parmenio Medina, sono stati uccisi negli ultimi due anni, situazione anomala per un paese dove si proclamano le libertà democratiche.
Árias, che va in Europa a dare lezioni di commercio etico (ha sermonato anche il Papa), dimentica come sempre le priorità di politica interna. Giorni fa parlavamo della prossima approvazione di un Cafta immorale per agricoltori e piccoli produttori, ora della situazione dei diritti umani. Interpellato sulla riforma della legge sulla stampa ha detto che non rientra nelle priorità di governo. Alla faccia della democrazia e del Nobel alla pace.
La lettera di protesta al presidente Árias del Consiglio Interamericano della Stampa:

http://www.cpj.org/protests/06ltrs/americas/costa08june06_sp.html

Wednesday, June 21, 2006

Referendum? Quale referendum?

Referendum? Chi ne ha sentito parlare? Il presidente Napolitano ha invitato gli italiani al voto, ma sarebbe interessante sapere quanti di noi all’estero sanno per cosa siamo chiamati alle urne. Facciamo il caso di non avere internet e di non avere accesso a quell’obbròbrio che è Rai International: da qui risulta praticamente impossibile conoscere il perchè del referendum. La spiegazione che appare nella rubrica “Per cosa si vota?” inoltrato dalle ambasciate non soddisfa per niente: “...il cittadino votando SI esprime la volontà di confermare la legge di riforma costituzionale, votando NO intende non confermare la legge già approvata dal Parlamento...”.
Siamo d’accordo che l’informazione è facoltà di ogni individuo, ma dubito che siano in molti tra gli italiani all’estero a conoscere i dettagli della legge di riforma costituzionale.
Con questi presupposti è facile prevedere un fallimento.
Su “Diario”, un pezzo di Laura Forzinetti già due settimane avvisava: “Sono passati solo due mesi dalle politiche e già ovunque... l’elettore viene lasciato solo davanti all’enigma costituzionale da risolvere con un sì o con un no”. Come dicevo, avevamo due settimane di tempo per raddrizzare le cose: non è successo nulla.
E più avanti: “L’inaspettato arrivo delle schede elettorali farà scoprire a molti che c’è un referendum”. Niente di più azzeccato: avreste dovuto vedere la faccia di mia suocera al momento di aprire il plico dell’ambasciata.
Ci siamo, quindi. Abbiamo ottenuto il diritto al voto: ora dobbiamo cavarcela da soli. Prerogativa tutta italiana, d’altronde. Le nostre legazioni spendono soldi in baggianate (migliaia di dollari in residenze da nababbi; pubblicazioni che magnificano l’opera di consolati vetusti ed inefficienti –riviste che, essendo di carta patinata, non servono poi nemmeno per il cesso-; mostre costosissime di artisti amici; per non parlare dei ricevimenti eccetera eccetera eccetera) però i soldini per fare valere i diritti democratici non si trovano.
L’estero, è stato detto, è stato decisivo per le politiche. Sicuramente lo sarà anche per questo referendum.

Tuesday, June 20, 2006

In Guatemala sì alle armi, no agli anziani

5 mesi, 1670 omicidi. Il Guatemala conta undici milioni di abitanti ed uno dei peggiori indici di delinquenza dell’America Latina. Il dato è stato reso noto dall’organizzazione umanitaria Grupo de Apoyo Mutuo (http://www.gam.org.gt/) che da anni denuncia le sparizioni e le violenze perpetrate contro la popolazione civile.
Nel mese di aprile il governo conservatore di Óscar Berger ha investito più di 26 milioni di dollari per rafforzare il controllo delle strade della capitale. In particolare, ha contrattato duemila ex militari per formare un piccolo esercito che serve come ronda. La decisione, invece di risolvere la situazione, sembra averla complicata, visto che ora ai delinquenti si sono aggiunte le pattuglie di ex soldati che non si sottraggono certo all’uso della violenza.
Intanto, il presidente che non sa che pesci pigliare con i pandilleros, ha invece fatto sloggiare con la forza i sette anziani (dai 65 ai 90 anni d’età) che da tre giorni sostavano in una tenda davanti al palazzo di governo chiedendo che si approvi la legge sulle pensioni. Ottanta poliziotti hanno distrutto la tenda e portato in ospedale i sette manifestanti. Morale: 26 milioni di dollari per armare duemila facinorosi e zero quetzales (la moneta locale) per dare da mangiare agli anziani. Complimenti a Berger.
Perchè sia chiaro: la speranza di vita in Guatemala è attorno ai 65 anni: il 97% di coloro che superano questa età non hanno di che sopravvivere. Che aspettarsi da un presidente che si fa ritrarre con Ronald McDonald?

Monday, June 19, 2006

Borges: la luce nell'oscurità

La scorsa settimana, il 14 giugno, si compivano i venti anni dalla morte di Jorge Luis Borges. Sono passati venti anni, ho pensato, quando mi sembra che fosse solamente ieri. Allora ero in qualche parte dell’Europa ed era appena uscito il primo disco che avessi registrato. La mia vita andava in una direzione diametralmente opposta a quella che ha poi preso. In qualche maniera somigliava ad uno dei racconti fantastici che Borges e Bioy Casares compartivano in una Buenos Aires che da terra del tango vedeva trasformate le sue strade e i suoi angoli in un mondo che flirtava con l’irreale. E se ci pensiamo bene, guardando al passato, ci sono momenti –mesi, anni- della nostra vita in cui è come se fossimo entrati nello specchio situato al fondo di un vicolo senza uscita e vissuto in un mondo parallelo.
Una bella intervista, dove Borges parla a lungo della sua cecità, è stata pubblicata su Diario del 9 giugno. Si può ascoltare in formato Mp3 su:
http://www.diario.it/?page=wl06060501
La cecità, come strumento per fare arte è stata per Borges come la sordità di Beethoven ed ha regalato i momenti migliori della letteratura dello scorso secolo. Borges, meglio di tanti che ci vedono benissimo, nell’oscurità ha trovato la luce.
Qui vi propongo la poesia “Un ciego”. La traduzione, non vogliatemene è stata fatta in tre minuti, è mia:
No sé cuál es la cara que me mira

cuando miro la cara del espejo;
no sé qué anciano acecha en su reflejo
con silenciosa y ya cansada ira.
Lento en mi sombra, con la mano exploro
mis invisibles rasgos. Un destello
me alcanza. He vislumbrado tu cabello
que es de ceniza o es aún de oro.
Repito que he perdido solamente
la vana superficie de las cosas.
El consuelo es de Milton y es valiente,
pero pienso en las letras y en las rosas.
Pienso que si pudiera ver mi cara
sabría quién soy en esta tarde rara.

Un cieco.

Non so qual’è il viso che mi osserva
Quando guardo il viso dello specchio;
non so che anziano spia nel suo riflesso
con silenziosa e già stanca rabbia.
Lento nella mia ombra, con la mano esploro
i miei tratti invisibili. Mi raggiunge
una folgorazione. Ho intravisto i tuoi capelli
che sono di cenere o forse ancora d’oro.
Ripeto che ho perso solamente
la vana superficie delle cose.
La consolazione è di Milton ed è coraggiosa,
tuttavia penso alla letteratura ed alle rose.
Penso che se potessi vedere il mio viso
Saprei chi sono in questo strano pomeriggio.

Sul Clarín, una pagina speciale con un testo in Real audio:
http://www.clarin.com/diario/especiales/Borges/html/Borges.html



Sunday, June 18, 2006

Alan García, l'incantatore

Alan García ha un pregio inconfutabile: la dialettica. La sua facilità nel discorso e le doti di misurato istrione hanno di nuovo stregato i peruviani, al punto da fare dimenticare loro il disastroso primo governo del rappresentante aprista. Allora, il Perù cadde nell’offensiva di Sendero Luminoso e in un’inflazione da record (2776% nel 1989). La ricetta economica dettata da García e dal suo gabinetto vuotò le casse dello Stato e la capacità di investimento dei peruviani. Le bombe scoppiavano nel pieno centro di Lima e la gente doveva fare la coda per comperare i generi di prima necessità. Luce ed acqua venivano tagliati più volte nel corso della giornata. I diritti umani, che oggi tanto sventola come bandiera per il suo prossimo governo, erano normalmente calpestati. L’esercito, nel suo affanno di reprimere Sendero e l’MRTA, dava libero sfogo alla sua naturale missione, quella di uccidere e reprimere.
García, alla fine, dovette scappare per vari anni all’estero (Colombia e Francia) per evitare una condanna (corruzione, tanto per cambiare), ma ora è di nuovo presidente. Bontà della politica peruviana e del tutto è possibile, ma soprattutto delle capacità di Alan, il manipolatore. Con le sue parole incanta e con le sue parole è riuscito a fare dimenticare quei cinque anni disgraziati che aprirono le porte alla dittatura fujimorista.
D’altronde, la loquacità è sempre piaciuta ai popoli latinoamericani. Retaggio della colonia spagnola? Forse. Fidel e Hugo Chávez parlano tanto, tantissimo e la parola, invece di annoiare, diventa spettacolo. Lo stesso vale per García. Ascoltarlo è pericoloso perchè, una volta accesa la macchina, è difficile fermarla. Sedotti e ammaliati, i peruviani ci sono cascati di nuovo.
Intanto Alan in vista dell’incarico (ufficialmente si insedierà il prossimo 28 luglio) sta viaggiando e cercando alleati per un Perù che si propone ora al fianco della Colombia come migliore alleato degli Usa nella regione. Parla tanto, come suo solito, ed è sicuro che qualche buon amico lo troverà cammin facendo. Come venti anni fa, propone le solite soluzioni che allora portarono il Perù sull’orlo del baratro. Per i peruviani il feeling con l’incantatore è appena cominciato.

Friday, June 16, 2006

Le Malvinas arrivano all'Onu

I conflitti in America Latina durano secoli. Isole, promontori o frontiere sono le principali fonti di disaccordo. A torto o a ragione, i confini non sono un dato legalmente acquisito, ma un’opinione che serve a rinfocolare vecchie ferite ed a ingrassare discorsi populisti. Un discorso a parte però meritano le isole Malvinas. A tutti gli effetti i britannici se ne impossessarono con la forza (successe nel 1833) e con logica, in nome del principio di de-colonizzazione oggi se ne dovrebbero andare. L’Argentina insiste nell’aprire le trattative con Londra, ma gli inglesi –da buoni inglesi- fanno orecchie da mercante. Come fanno a mostrare i muscoli in Medio Oriente mentre si ritirano mestamente dall’Atlantico?
La discussione è arrivata infine alle Nazioni Unite. L’organismo, ormai sfiatato e delegittimato (sputtanato è la parola giusta?) ha dato ragione agli argentini e chiesto agli inglesi che si siedano al tavolo dei negoziati. Le posizioni, però, non potrebbero essere più distanti. Mentre l’Argentina chiede la restituzione dell’arcipelago, Blair e compagnia spingono per il riconoscimento internazionale delle Falklands, a sostegno di un’autodeterminazione che sarebbe il primo passo per l’autonomia delle isole. Insomma, gli inglesi auspicano la creazione di un nuovo staterello che gli varrebbe il controllo sulle acque dell’Atlantico sud. Come fumo negli occhi, naturalmente, per gli argentini.
Galleria fotografica della BBC sulla guerra delle Malvinas:
http://www.bbc.co.uk/spanish/especiales/0203malvinas_galeria/index.shtml

Thursday, June 15, 2006

Predica bene, razzola male

Il presidente della Costa Rica, Óscar Árias, è in questi giorni in Italia. Giugno, in fondo, è sempre una buona epoca per visitare il Bel Paese, il tempo è bello e le città d’arte offrono immagini suggestive. Per non parlare poi dei Mondiali di Calcio di Germania (venerdì scorso era in tribuna a Berlino).
Tra una passeggiata e l’altra Árias ha trovato il tempo di rilasciare alcune dichiarazioni e di bacchettare l’occidente opulento. Il nostro, sostenitore dei trattati di libero commercio parla però dell’ipocrisia delle nazioni ricche.
“I paesi ricchi proteggono i loro agricoltori con generosi sussidi” denuncia.
E va giù di brutto, quando dichiara che i contadini dei paesi poveri sono in pratica prigionieri dei gruppi di potere delle nazioni industrializzate.
Parole sante. Ma a che sta giocando, Árias?
La Costa Rica, il paese di cui è presidente, sta per ratificare il Cafta con gli Stati Uniti, un trattato che lascerà praticamente in mutande gli agricoltori costaricensi. Il futuro dell’agricoltura è nero in Costa Rica come negli altri paesi centroamericani. Generi di prima necessità come la patata, i fagioli o il riso entreranno liberamente dagli Usa attraverso il canale privilegiato previsto dal trattato. I coltivatori di questi generi tradizionali si vedranno quindi scalzati da un prodotto che, proprio per i famosi sussidi, giungerà nei supermercati ad un prezzo inferiore di quello locale. L’unica via di uscita per gli agricoltori sarà quella di cambiare la produzione, cercando degli spazi di nicchia. Ma per fare questo c’è bisogno di investimenti e quando parliamo di investimenti parliamo di molti soldi, viste le severe procedure di controllo che il Cafta prevede. È facile prevedere che in una manciata di anni sparirà la figura tipica dell’agricoltore, che sarà costretto a vendere la sua terra e lasciarla a chi sì ha accesso ai finanziamenti, le grandi compagnie.
Chi ci guadagna in tutto questo? Quelli che hanno i soldi, come la famiglia Árias che possiede grandi quantità di terra in Costa Rica oltre che la più grande finanziaria del Paese. El negocio es redondo, come si direbbe.
Árias è un incantatore con le parole. Può dire quello che vuole e passare per un grande statista.
D’altronde chi, in Europa, si preoccupa di corroborare cosa in realtà stia succedendo in America Centrale?
http://www.stopcafta.org/

Wednesday, June 14, 2006

Link e interviste/2

Anche oggi mi limito a darvi alcuni link che vi possono interessare. Innanzi tutto, il subcomandante Marcos dopo aver visitato quasi tutto il Messico comincia a trarre le conclusioni del suo viaggio, proprio quando si apprestano le elezioni presidenziali. La prima parte di una lunga intervista viene pubblicata sul sito brasiliano Amauta:
http://www.amauta.inf.br/index.php?option=com_content&task=view&id=2185&Itemid=30
Siccome ho ricevuto molte visite di lettori che cercavano notizie di Nando Parrado, uno dei sopravvissuti alla tragedia aerea nelle Ande del 1972 di cui vi segnalavo un’intervista, vi ricordo che ha un proprio sito web (un po’ lento, ma suggestivo): http://www.parrado.com/eng/main.html
Per chi si interessa di poesia, c’è un blog peruviano che si propone di ricostruire l’opera del poeta Jorge Eduardo Eielson: http://poesiaescrita.blogspot.com/
Sull’artista peruviano c’è anche una bella pagina web: http://eielson.perucultural.org.pe/indexflash.htm
Su Quinterna, rivista italiana, c’è un dettagliato approfondimento sulla crisi argentina: http://www.quinterna.org/Rivista/07/fallimento_argentino.htm
“Artistas plásticos por Kosteki e Santillán” è una mostra che in Argentina vuole ricordare la morte dei due manifestanti che nel 2002 vennero uccisi dalla polizia di Duhalde. Nel link c’è il foto reportage delle opere esposte: http://www.prensadefrente.org/pdfb2/index.php/fot/2005/09/21/p508
Restando in Argentina, una pagina di comic che strappa sorrisi amari è quello di José Luis Aguirre: http://www.aguirrecomic.com.ar/
Insomma, fatevi un giro. Pura vida.

Tuesday, June 13, 2006

I bambini sfruttati

Sono 218 milioni i minori costretti al lavoro nel mondo. Un dato reso noto ieri, in occasione della giornata internazionale contro il lavoro minorile e che non ha niente di nuovo, purtroppo. In America Latina si tratta del pane quotidiano. La situazione è drammatica soprattutto in Perù, dove sono almeno due milioni i minorenni occupati in pesanti giornate lavorative. Ovunque, però, le cifre sono preoccupanti: un milione e mezzo in Argentina, un milione in Ecuador, mezzo milione in Honduras.
La ricetta Cavallo in Argentina ha avuto come risultato un aumento del lavoro minorile del 600% in sette anni: evviva il neoliberalismo ed i trattati di libero commercio.
La foto qui sopra, scattata da Lillo Rizzo, viene dalla Bolivia.
Gallerie di foto sulle lavoro minorile in Centroamerica:
http://www.ipec.oit.or.cr/ipec/comunicacion/fotos.shtml

Monday, June 12, 2006

Quei giocatori nababbi dell'Ecuador

Calcio e morale sembrano bisticciare sempre. La manipolazione dei campionati italiani è ormai un fatto assimilato: vince chi ha più potere nelle sedi politiche ed il pallone passa in secondo piano. Ma non siamo gli unici, naturalmente. Da quando esiste il football, le partite si comprano e si vendono e chi storce il naso a questa affermazione è un ingenuo.
Ora, con i Mondiali in corso, l’argomento principale fuori dal campo è quello dei premi.
In Ecuador in questi giorni l’entusiasmo è alle stelle. La vittoria sulla Polonia ha aperto una porta per lo storico passaggio agli ambiti ottavi di finale. Fa però gridare allo scandalo il premio promesso dalla Federazione ai giocatori in caso di vittoria finale: 450.000 dollari a testa. Di più pagheranno solo Spagna, Inghilterra e Corea. Gli ecuadoriani avranno più dei tedeschi padroni di casa e dei nostri viziati campioncini: Totti e compagnia riceveranno 320.000 dollari (pochi soldi, una ragione in più per non sforzarsi troppo).
L’Ecuador ha dollarizzato la sua economia nel 2000, nel tentativo di fermare un’inflazione galoppante che ha avuto, invece, come risultato un incremento della povertà. Oggi, il salario medio di un lavoratore è di 280 dollari al mese, somma insufficiente per soddisfare le necessità basiche di una famiglia, il cui tetto è fissato sui 400 dollari: il lavoratore in questione impiegherebe 134 anni per guadagnare il premio dei giocatori. Il calcio ecuadoriano ha fatto passi da giganti, non così l’economia.
Intanto, gli undici che hanno sconfitto la Polonia hanno già messo in banca i 30.000 dollari previsti in caso di vittoria. C’è da credere che giovedì, con la Costa Rica vedremo di nuovo un incontro scoppiettante: la squadra rivelazione nel calcio, in fondo, la fanno i soldi.
http://www.ecuafutbol.org/UI/index.aspx

Sunday, June 11, 2006

La retorica dei pueblos hermanos

Pueblos hermanos, popoli fratelli. La definizione abbonda in tutta l’America Latina nelle sedi di raduni, dibattiti, incontri. L’espressione è consumata e rifritta, una sorta di talismano che si usa ogni qualvolta si cerchi di stabilire accettazione o gradimento nell’ambito di una riunione tra latinoamericani. Fedele alla tradizione barocca della lingua spagnola che si mostrava forbita e prosaica nelle relazioni pubbliche, l’espressione di pueblos hermanos non è che la dimostrazione pratica del diffuso potere della retorica.
I popoli fratelli, infatti, sono nella realtà sempre immersi in qualche battibecco. Proprio in questi giorni, argentini ed uruguagi si affrontano all’Aja –ed in forma tutt’altro che pacifica- per definire il futuro delle fabbriche di cellulosa sul fiume Uruguay. Una settimana fa Chávez ha sollevato un vespaio instando saggezza
al hermano pueblo peruano
perchè votasse per Humala. Sempre all’Aja, Costa Rica e Nicaragua stanno spendendo milioni di dollari, che farebbero molto meglio nel bilancio di qualche programma educativo, per sapere chi può o no transitare sul limitrofe fiume San Juan. Cileni e boliviani litigano da 120 anni per una guerra d’aggressione le cui conseguenze non sono ancora sopite. Ci si azzanna anche sulla farina. Una volta mi toccò assistere ad una accalorata discussione tra colombiani, venezuelani, messicani e centroamericani su quale fosse la migliore maniera di produrre il più innocente e comune dei cibi, la tortilla. Naturalmente, non mancarono gli insulti.
Quali popoli fratelli, quindi? La fratellanza delle nazioni latinoamericane vive sul piano della connivenza più della convivenza. Sono le occasioni a fare i governanti –e di conseguenza i popoli- amici o nemici. Simón Bolívar e la sua epopea vengono citati ogni qualvolta ci sia da ricordare l’origine comune dei latinoamericani, ciò nonostante lo stesso Bolívar aveva provato sulla propria pelle la volubilità dell’animo dei criollos, arrivando all’amara conclusione che non sarebbe mai stato possibile unire nord e sud, est e ovest. I localismi che avevano impedito il realizzarsi della proposta politica di Bolívar sono quelli che oggi, trasformati in nazionalismo, pongono la barriera più grande nelle relazioni tra gli stati latinoamericani.
La retorica sulla fratellanza funziona sempre. A parole siamo tutti fratelli. Sui fatti, lasciamo che a decidere siano gli organismi internazionali.

Saturday, June 10, 2006

Pedofilo per vocazione

Marcial Maciel: avevamo parlato un paio di settimane della polemica decisione del Vaticano nei suoi confronti. Il suo ritiro, in pratica, è una sconfitta per chi crede nella Chiesa e chi, più generalmente, nella giustizia. Nonostante i suoi abusi siano stati documentati con dovizia di particolari, non ci sarà nessuna condanna contro il prelato fondatore dei Legionari di Cristo. Legionari che –è il caso di dirlo- lo difendono a spada tratta: (http://editorial.elmercurio.com/archives/2006/05/legionarios_de_1.asp)
Ho pubblicato due approfondimenti su questo tema: uno in edicola su Diario di questa settimana, l’altro che è possibile consultare su
www.2americhe.com, la pagina web sull’America Latina curata da Massimo Cavallini.
L’argomento, per la sua scabrosità, è stato prudentemente rimosso da papa Benedetto XVI, difensore ad oltranza di Maciel finchè è stato cardinale. Rimane però pendente nelle nostre coscienze tutte le volte che vorremmo affidare nostro figlio ad un sacerdote.
Sulla Legione in Italia –congregazione dei ricchi e dei potenti- è possibile consultare un articolo uscito su Panorama:
http://www.panorama.it/italia/vaticano/articolo/ix1-A020001034343

Friday, June 09, 2006

Dei blog ed altre storie

I blog latinoamericani si caratterizzano per la loro apertura alla comunità e allo scambio, quelli europei vertono invece sull’individualismo. A questa conclusione è giunto il professore di comunicazione colombiano emigrato in Norvegia, Álvaro Ramírez, autore di un dettagliata ricerca sull’argomento blog (http://www.congresonuevoperiodismo.com/?p=236).
Mentre il blog in America Latina serve per confrontarsi, denunciare e mobilitare, gli europei parlano di banalità, ponendo sè stessi nel centro del mondo. Date un’occhiata, magari, a Blogitalia (
http://www.blogitalia.it/), che riunisce quasi undicimila blog ed osservate come più della metà parli di storie personali. Le conclusioni su questa vanità del nulla quotidiano le lasciamo ad altri.
Piuttosto, date un’occhiata a
http://www.equinoxio.org, pagina di dibattito sulla realtà colombiana: un blog che serve appunto per incontrarsi e dialogare, magari sorseggiando un caffè.
E già che siamo in tema di Mundial, un bellissimo articolo (in spagnolo, spero possiate intenderlo) sulla relazione tra football e letteratura pubblicato dalla rivista del Clarín:
http://www.clarin.com/suplementos/cultura/2006/05/27/u-01202161.htm

Thursday, June 08, 2006

Camino al Mundial/2

La febbre del fútbol aumenta. Tra le nazionali latinoamericane impegnate al Mondiale tedesco c’è l’Ecuador, alla seconda partecipazione consecutiva, che ha lasciato a casa squadre ben più blasonate come l’Uruguay ed il Cile. Anche l’Ecuador, come la Costa Rica, giocherà venerdì ed anche qui, seguendo la più sfegatata tradizione, uffici pubblici e privati lavoreranno solo fino a mezzogiorno, ora d’inizio della partita con la Polonia.
Per un mese, non importa il risultato della nazionale, in Ecuador non si farà altro che parlare di calcio, al punto che i candidati della campagna presidenziale attualmente in corso hanno già fatto sapere che sospenderanno i comizi. Non a caso, visto che gli ecuadoriani sono capaci di qualsiasi pazzia in quanto a fútbol. Le due squadre più famose del paese, il Barcelona e la Liga, dividono le passioni di un calcio che ha generato anche uno dei peggiori arbitri del mondo, Byron Moreno. Dopo lo scandalo con l’Italia, Moreno ne ha combinate alcune delle sue in patria, fino ad essere radiato dagli arbitri dell’Ecuador. Oggi si dedica a dirigere partite tra scapoli ed ammogliati: chi avesse avuto dei dubbi sugli sfavori all’Italia contro la Corea, sappia che aveva ragione.
Altro bellimbusto amante sfegatato del calcio è Abdalá Bucaram, unico presidente nella storia dell’Ecuador ad essere stato deposto per manifesta demenza. Bucaram, che ora vive a Panama, mosse mari e monti perchè suo figlio Abdalá junior giungesse all’Under 19. Confinato in panchina, il ragazzo chiamò il papà, che affrontò l’allenatore in una memorabile scazzottata. Bucaram, che aveva fatto della follia la sua forma di governo, chiese ed ottenne anche di giocare dieci minuti di campionato con la maglia del suo amato Barcelona, la squadra di Guayaquil.
Il profilo dei 23 convocati ecuatoriani:

http://www.eluniverso.com/especiales/mundialAlemania2006/ecuador.asp
Un simpatico video (44 secondi) girato tra i tifosi ecuadoriani sugli spalti del recente incontro con la Colombia:
http://www.futbol.ec/ecuador/videos/video_ecuador_vs_colombia_giants_stadium.html

Wednesday, June 07, 2006

Un Nobel senza qualità

Rimaniamo in tema di Costa Rica, perchè è di questi giorni la risibile notizia che Abel Pacheco, l’ex presidente di questo Paese, è uno dei più seri candidati al Nobel per la Pace 2006. Risibile perchè la motivazione (è stato autore di una moratoria alla ricerca petrolifera sulla costa atlantica della Costa Rica) dimentica i vari attentati alla pace perpetrati dal signor Pacheco.
Vediamo quali. La Costa Rica negli anni Ottanta dichiarò per Costituzione la propria neutralità in qualsiasi conflitto. L’iniziativa partì dall’allora presidente Monge, che volle così continuare la politica pacifista del paese, che dal 1948 ha abolito l’esercito. Pacheco, disinteressandosi della Costituzione e dei meriti pacifisti della Costa Rica sottoscrisse l’atto di aggressione con il quale gli Stati Uniti cercavano di rendere plausibile la guerra in Iraq alla comunità internazionale. Come un paese neutrale (come la Svizzera, per intenderci) possa partecipare ad un conflitto è una risposta alla quale nemmeno Pacheco ha saputo rispondere...
Il nostro, però, è andato ben oltre. In varie interviste ha sempre difeso la sua scelta arrivando a estremi tristi e ridicoli per sostenerla. Alcune sue uscite gli sono valse la critica generale delle forze politiche e sociali della Costa Rica:
È meglio che muoiano i bambini iracheni che i nostri” è stata una delle sue lapidarie frasi sulla questione. Niente male per venire dalla bocca di un candidato al Nobel per la Pace. Se non fosse sufficiente, ancora oggi la Costa Rica appare tra i 49 paesi della coalizione. Se non ci credete, date un’occhiata agli amici americani:
http://www.whitehouse.gov/news/releases/2003/03/20030327-10.html
L’organizzazione ambientalista Oilwatch (http://www.oilwatch.org/) è quella a cui dobbiamo l’iniziativa. A questi geni della politica ambientale, va tutto il nostro rammarico.
Per inciso, il neo presidente Óscar Árias –già premio nobel per la Pace- ha fatto sapere che l’esplorazione petrolifera verrà ripresa durante la sua amministrazione: con buona pace della Pace.

Tuesday, June 06, 2006

Camino al Mundial/1

A giorni parte il Mondiale di Germania e l’interesse in America Latina è ormai alle stelle. Sono sei le formazioni dell’area che parteciperanno: Argentina, Brasile, Costa Rica, Ecuador, Messico, Paraguay, a cui, volendo, si può aggiungere anche Trinidad y Tobago. La febbre cresce e, così anche le dimostrazioni di affetto dei tifosi. Fenomeno di costume capace di fare breccia nell’animo di ogni latinoamericano, il Mondiale accende speranze ed orgogli sopiti sotto la cenere delle delusioni e delle sconfitte quotidiane.
Toccherà alla Costa Rica aprire la manifestazione, giocando con gli anfitrioni. Squadra priva di vere individualità (gli unici con una vera esperienza sono Paulo Wanchope che vanta varie stagioni nel calcio inglese e Ronald Gómez, tre anni nel campionato greco), la Costa Rica si è caratterizzata sinora per aver perso tutte le amichevoli disputate in terra europea, incluso quella con una formazione di dilettanti. Le sconfitte non hanno però spento l’entusiasmo per una nazione che considera già un traguardo partecipare alla fase finale, la terza della storia. È rimasto indelebile, il ricordo di Italia ’90, dove i centroamericani vinsero con Scozia e Svezia e la considerazione che quelle imprese possano ripetersi. Venerdì, la partita con la Germania inizierà alle 10 del mattino, ora locale. Bar, cinema, ristoranti, centri commerciali hanno già approntato gli schermi giganti ed un decreto del Governo ha già stabilito che gli uffici pubblici rimarranno chiusi durante le due ore che durerà l’incontro. In caso di vittoria della Costa Rica è però improbabile che gli impiegati tornino al loro posto di lavoro. L’ottimismo non manca ai ticos: sanno che nemmeno la Germania sta brillando e che quella di venerdì sarà la partita della loro vita.
Su La Nación è stato pubblicato domenica uno speciale dedicato ai ventitrè convocati, immortalati con foto e con biografia di ragazzi di strada cresciuti tra ritmo e pallone:
http://www.nacion.com/ln_ee/futbol/mundial/2006/seleccionados.html
Per seguire le partite dei ticos alla radio:
http://emscostarica.com/monumental/deportes/inicio/index.php


Monday, June 05, 2006

Alan per la seconda volta

Alan García si avvia ad essere il presidente dei peruviani per la seconda volta. Il Perù fa come i gamberi, invece di andare avanti, torna indietro a quegli anni Ottanta che si caratterizzarono per la più grande inflazione della storia del Paese e le bombe e gli attentati di Sendero Luminoso.
García non è stato un buon presidente. Approvò la guerra sporca con Sendero e le stragi nelle carceri, fece della corruzione il contrassegno del suo governo, governò per sè stesso ed i suoi amici finchè dovette fuggire all’estero per evitare il carcere. Amnistiato grazie a quelle strane leggi che permettono al politico di redimersi, e al comune cittadino di marcire in galera, è tornato nel 2000 in Perù, presentandosi come uno dei tanti perseguitati del regime fujimorista.
Piuttosto di Humala, la gente ha scelto lui. È la triste povertà della proposta politica peruviana, presentare ad un ballottaggio, che servirà come monito per i prossimi sei anni, un corrotto ed un violento. Si pensava che con Toledo si fosse toccato il fondo, ma non è così: il peggio deve ancora venire.
Le elezioni peruviane nel blog:
http://pueblovruto.blogspot.com/
http://wolfylima.blogspot.com/
http://reporterodelahistoria.blogspot.com/
http://ollantahumalano.blogspot.com/
http://teconocienunbazar.blogspot.com/2006/05/ahorita-es-el-4.html
http://referentelibertad.blogspot.com/
http://alanpresidente.blogspot.com/
http://mardukperu.blogspot.com/

Sunday, June 04, 2006

Blog per i diritti umani

A partire da questa settimana cercherò di pubblicare ogni domenica un approfondimento su un tema della realtà latinoamericana. Iniziamo il nostro nuovo appuntamento domenicale con la protesta studentesca del Cile.


Qualcosa cambia in meglio. La protesta dei ragazzi cileni insegna che anche in America Latina è possibile usare la tecnologia per la difesa dei propri diritti. Ci eravamo abituati alle immagini provenienti da Santiago, quelle che mostravano i cortei dissipati dagli idranti e dai manganelli della polizia, non solo in epoca Pinochet ma anche nei democratici governi di Frei e Lagos. Telefonini, blog, internet sono state le armi che hanno amplificato la mobilitazione dei giorni scorsi, ma soprattutto che sono servite per denunciare gli abusi che i Carabineros erano abituati a commettere impunemente da tempo immemorabile. Il governo socialista ha così dovuto rimuovere i responsabili delle botte ai ragazzini che manifestavano per le strade di Santiago, obbligato a dare segnale chiaro alla società cilena e alla comunità internazionale che il Cile è un paese dove si rispettano le libertà. Decisione da applaudire, anche se di fronte alle prime emergenze del suo governo la Bachelet si sta caratterizzando per una pericolosa doppia morale: a parole appoggia le mobilitazioni, con i fatti no. Lo aveva già dimostrato con i Mapuche, presentandosi in Europa come paladina dei diritti umani in America Latina, salvo poi comportarsi in maniera distinta in sede nazionale.
Con gli studenti sta andando nella stessa maniera. “Avete ragione” ha detto loro, ma poi non ha fatto nessuna concessione, chiudendosi a riccio nella proverbiale testardaggine cilena. La protesta studentesca si sta trasformando così in uno scontro generazionale, dove la gratuità o no dell’abbonamento scolastico è diventato solo lo sfondo dove si combatte un braccio di ferro più profondo tra genitori e figli. Figli che, poi, non sono così ingenui come si vorrebbe far credere sui mezzi di comunicazione e che si pongono domande legittime: per esempio, cos’è un socialismo che non risponde alle domande della società? Perchè lo Stato permette la breccia nell’educazione sostenendo quella privata a scapito di quella pubblica?
La Concertación, che si vanta di essere illustrata e lungimirante, ha portato il Cile lontano, su una strada che però è lecito domandarsi dove porti. I ragazzi, che si sentono traditi da un socialismo che ritengono solo di facciata, lo stanno facendo. Che siano stati loro a denunciare i Carabineros, con le fotografie scattate in strada dai telefonini e con centinaia di blog da mostrare al mondo, ci dice anche che il governo di Bachelet ha poco interesse a muovere lo stato delle cose. Chissà che la protesta serva proprio a ricordare alla Concertación che la politica non è solo parole.

Una lunga lista sui blog degli studenti cileni:
http://www.emol.com/noticias/nacional/detalle/detallenoticias.asp?idnoticia=220547

Friday, June 02, 2006

Link ed interviste

Vi segnalo alcuni link con interviste interessanti.

Gli scontri tra polizia e studenti di questi giorni in Cile sono seguiti sul blog fotografico “Están bajo mi lente”:
http://kuramresiste.blogspot.com/
Annotazioni scritte sugli avvenimenti sono invece su: http://trincheradelaimagen.blogspot.com/
Carlos Lozano, dirigente del Partito Comunista colombiano e direttore del giornale La Voz, dice cosa pensa della rielezione di Álvaro Uribe:
http://www.anncol.org/es/site/doc.php?id=2111
In Messico, sui fatti di Atenco di un paio di settimane fa, con violenti scontri tra polizia e manifestanti, Indymedia dedica una vasta documentazione. Dopo le detenzioni, i poliziotti si sono lasciati andare a violenze sessuali sulle donne e a pestaggi indiscriminati. La mobilitazione continua, con lo scopo di portare i responsabili davanti ai giudici: http://mexico.indymedia.org/tiki-index.php?page=ImcMexico
Sulle imminenti elezioni peruviane di domenica, Alan García parla a Radio Nederland:
http://www.informarn.nl/informes/americas/peru/act060601_eleccionesperu
Nando Parrado, uno dei 16 sopravissuti dell’incidente aereo sulle Ande del 1972, ha scritto un libro e racconta l’odissea di quei settanta giorni in cui lui e i suoi compagni si videro costretti a mangiare la carne dei loro amici morti:
http://www.nacion.com/proa/2006/mayo/28/reportajes0.html
Bontà della blogosfera, i numeri di telefono e l’indirizzo del lavoro e di casa di Edwin Dimter Bianchi, “El Príncipe”, l’assassino del cantautore Víctor Jara è qui: http://www.funachile.cl/index.php?option=com_content&task=view&id=156&Itemid=37
Buona lettura.

Thursday, June 01, 2006

Carabineros, botte ai ragazzini

La mobilitazione degli studenti medi cileni si è trasformata in un caos. Quasi un milione di ragazzi sono scesi in strada per chiedere la riforma della scuola media per una protesta che voleva essere pacifica. A Santiago hanno invece trovato i carabinieri ad accoglierli a manganellate e con gli idranti, dando vita alla solita brutalità con cui questo corpo si è abituato ad agire sin dai tempi di Pinochet. Le legnate sono cadute senza discrezione: ragazzini, giornalisti, professori, genitori, cameraman e fotografi le hanno prese di santa ragione. 730 gli arresti, cifra d’altri tempi. La Bachelet ha dovuto convocare in tutta fretta il Consiglio dei ministri, mentre per il responsabile della repressione, il colonnello Osvaldo Jara, è stato rimosso dal suo incarico.
Intanto, è lontano un accordo tra il governo e gli studenti, che chiedono la rimozione della tassa di iscrizione all’università (38 dollari), passaggi di bus gratuiti e l’annullamento della legge sull’insegnamento voluta da Pinochet che privilegia l’educazione privata.
L’evolversi della situazione, con dovizia di fotografie, è documentata su:
http://santiago.indymedia.org/
http://valparaiso.indymedia.org/