blog americalatina

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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Tuesday, June 17, 2008

Petrolio e povertà

L’ondata di aumenti nel settore petrolifero sta passando una fattura molto cara a tutti i paesi dell’area latinoamericana. Il gioco al rialzo ha portato ad un aumento indiscriminato di tutti i generi di prima necessità. Di conseguenza, la gente è scesa in piazza, dall´Argentina al Messico i disturbi sono all´ordine del giorno. Ne leggo quasi niente in Italia, ma la situazione in America Latina si aggrava di giorno in giorno. Ieri erano i camionisti colombiani, ma le proteste di piazza ci sono state un poco dappertutto. Si era cominciato ad Haití, dove la situazione è più grave, ma poi i cortei, spesso spontanei, si sono estesi a Santo Domingo, a quasi tutto il Centroamerica, all´Argentina. Si sono viste barricate in Nicaragua, scontri di piazza a Tegucigalpa, cortei sul fiume Uruguay e tutto fa pensare di essere solo all´inizio di una lunga stagione di protesta.
L´Europa, e non a torto, guarda preoccupata gli aumenti che causano problemi in casa, ma il resto del mondo non sta meglio. Anzi, con il petrolio che arriva a 140 dollari il barile, i dottoroni si sono azzardati a fare dei calcoli e a indicare che la crisi porterà altre quindici milioni di persone nel baratro della povertà.
Da queste parti, l´unico a non dimostrare preoccupazioni di sorta è il Venezuela. I venezuelani, privilegiati e irresponsabili, pagano un pieno di benzina poco più di tre dollari, alla faccia del resto dei ¨fratelli¨ latinoamericani. Chávez, è noto, è fautore dell´aumento del prezzo del petrolio, che usa come arma politica. Petrocaribe sta offrendo il combustibile ai governi amici con uno sconto del 20%: inoltre, metà si paga subito, ma l´altra metà come un mutuo, a 25 anni.
Peccato, però, che non se ne veda il risultato. In Nicaragua, paese che ha ricevuto lo sconto, la benzina e il diesel costano come e più che nelle restanti nazioni centroamericane. Daniel Ortega, ricusato dall´opposizione e dagli organismi internazionali, si rifiuta di dire come ha usato i soldi risparmiati. Vedremo se al Guatemala di Colom, che ha dichiarato di voler aderire all´iniziativa, andrà meglio.

Una cosa è certa, però: sul petrolio, rimane dimostrato, non c´è discorso idealista che tenga.

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Thursday, June 05, 2008

Negroponte torna a casa

Il sottosegretario di Stato, John Negroponte è tornato a casa. In questi giorni è infatti atterrato in Centroamerica, nel Salvador, per poi proseguire il suo viaggio in Honduras e Guatemala. Nel suo primo incontro, quello con il presidente salvadoregno, ha dichiarato che Usa e Salvador sono soci in molti campi, ma soprattutto ¨nel promuovere la democrazia, la difesa della libertà, la lotta contro il terrorismo¨.
John Negroponte per il Centroamerica è stato un personaggio funesto. Ambasciatore in Honduras dal 1981 al 1985, tirò le fila della Contra nella lotta contro il sandinismo in Nicaragua e, soprattutto, appoggiò e finanziò l´operato degli squadroni della morte in Honduras e Salvador. Prima, come agente della Cia, aveva avuto anche un ruolo centrale nell´Operazione Condor in Cile. Con questi meriti, è stato mandato da Bush a fare l´ambasciatore degli Usa all´Onu e poi a mettere ordine in Iraq.
Se c´è un signore della morte, questi è proprio John Negroponte. Eppure, è ancora qui che, beato, si attribuisce il diritto di insegnare valori come democrazia e libertà ai centroamericani. Nella base Usa dell´Aguacate, in Honduras, voluta da Negroponte, i prigionieri nicaraguensi venivano sistematicamente torturati e uccisi. Le fosse comuni, ritrovate nel 2001, hanno dimostrato il completo coinvolgimento di Negroponte e dei suoi uomini in questa pratica.
Su Negroponte avevo scritto nel 2004 su Diario. Una rinfrescata fa sempre bene, specie su questi personaggi. Questo era l´articolo:

Aguacate è il nome spagnolo con cui si indica l’avocado, il frutto tropicale che ricorda atmosfere agresti, ricette di cucina semplice e feste nei prati. In Honduras, però il termine sfugge a questa logica bucolica per riportare invece alla mente uno dei periodi più bui della storia recente di questo paese. El Aguacate rievoca infatti il nome della base militare dove operava il Batallón 3-16, il famigerato squadrone della morte diretto da Gustavo Álvarez Martínez, comandante della Guardia Nacional, generale approvato e coccolato dall’ambasciatore statunitense di allora, un quarantenne di origine greca che svolgeva il primo vero incarico come diplomatico. Quell’ambasciatore era John Dimitri Negroponte, di natali londinesi ma con passaporto Usa, a cui era stato delegato il compito di diffondere la crociata anticomunista di Reagan in Centroamerica, il cortile di casa, al tempo martoriato da guerre e guerriglie. Un lavoro da svolgere con zelo e pignoleria, da buon amministratore e custode di segreti, capace di nascondere e negare anche l’evidenza.
La storia comincia quando Negroponte, nel 1981, sostituisce a Tegucigalpa Jack Binns, considerato troppo riguardoso in quanto a diritti umani. Nei piani dei nuovi padroni di Washington non c’è spazio per la politica benevola e solidale applicata da Carter. Reagan ha bisogno di uomini capaci a fronteggiare il sandinismo e quello che viene ventilato come il pericolo comunista in America Latina. Uomini disposti a tutto, quindi, e che non hanno paura di sporcarsi le mani. Gli Usa inviano Negroponte, che ha fatto la gavetta con Kissinger e con il Vietnam, mentre in Honduras questo uomo viene identificato nel generale Gustavo Álvarez, giudicato ideale dalla Cia “perchè, al contrario dei suoi connazionali, è dinamico ed inflessibile”. Álvarez, lo si capirà quasi subito, è soprattutto uno psicopatico. Attratto dalla personalità di Rommel chiama i suoi figli Erwin e Manfred (il nome del primogenito del generale nazista) e nei colloqui iniziali con gli inviati Usa, esprime il suo consenso alla dittatura argentina, la sola, secondo lui che sappia come difendere il mondo dalla minaccia comunista. Usando le maniere forti, naturalmente, le uniche che danno risultati nei momenti difficili.
Negroponte, che freme per mettersi all’opera, accontenta subito il nuovo protetto di Washington e lo mette in contatto con i golpisti di Buenos Aires. Il risultato di questo incontro è la formazione del Batallón 3-16, un gruppo dell’esercito la cui attività è quella di fare sparire i sospettati di sovversione o di attività giudicate dagli Stati Uniti troppo di sinistra. Il tutto nel più completo anonimato. Ufficialmente il battaglione non esiste, ma nell’intero Honduras cominciano a svanire in pieno giorno studenti, religiosi, personalità politiche, cittadini comuni, sindacalisti, attivisti della solidarietà internazionale, accomunati nella loro disgrazia dal lavoro di aiuto e sostegno alle comunità del Nicaragua e del Salvador colpite dalla crudeltà della guerra.
I sospettati vengono pedinati, osservati per diversi giorni e poi rapiti dai membri incappucciati del 3-16. Spariscono così nel nulla, inghiottiti dalla insana logica del terrore, senza che i loro familiari sappiano qualcosa sul loro destino. A chi va a chiedere spiegazioni al Ministero della Difesa o all’Ambasciata degli Stati Uniti, la risposta è sempre la stessa: “Non ne sappiamo nulla”.
Come la suora Leticia Bordes, che nel maggio 1982 si presenta al cospetto dei funzionari statunitensi per conoscere il destino delle sue consorelle fuggite dal Salvador in seguito all’assassinio di monsignor Romero. La reazione è quella usuale, un muro di silenzio ed omertà. Solo tredici anni più tardi si viene a sapere che le religiose erano state rapite, violentate e torturate dallo squadrone della morte e poi gettate vive, da un elicottero in volo, sull’oceano.
Negroponte rimane in Honduras quattro anni, fino al 1985, il tempo necessario per organizzare la guerra sporca contro il Nicaragua. Il sud dell’Honduras, finora pacifico, viene trasformato in area di conflitto, con la formazione degli accampamenti di addestramento della Contra. Protetta dalla frontiera e dai trattati internazionali cui il Nicaragua deve attenersi, la guerriglia sconfina per gli atti di sabotaggio e poi ritorna nelle sicure basi honduregne. È una parte del piano per sfinire il sandinismo. L’altra prevede l’isolamento e l’embargo illegale: per questa ragione, il mare di fronte alle coste nicaraguensi viene minato per impedire l’approvvigionamento di una nazione sempre più allo stremo. L’operazione, finanziata e condotta dagli Stati Uniti attraverso le sue basi in Honduras, viene condannata dal Tribunale Internazionale dell’Aja senza che, per questo, Washington abbia mai pagato un centesimo di compensazione.
Intanto, il Batallón 3-16 lavora a pieno regime, torturando ed uccidendo persone innocenti mentre Negroponte, dal canto suo, riesce nell’opera di decuplicare gli aiuti militari che il Congresso destina ai suoi amici honduregni. Per ottenere questi fondi Negroponte mente spudoratamente di fronte al Senato, che gli chiede garanzie sui diritti umani.
“Non esiste nessuna evidenza che nel paese operino squadroni della morte” riportava al Comitato che gli chiedeva spiegazioni su quanto si mormorava succedesse in Honduras.
Le indagini degli anni Novanta effettuate soprattutto dai cronisti del Baltimore Sun, Gary Cohn e Ginger Thompson, hanno accertato e documentato invece le responsabilità di Negroponte che, non solamente era al corrente delle costanti violazioni dei diritti umani, ma appoggiava e finanziava le attività illegali degli squadroni della morte. I due giornalisti accertarono che fu proprio “The Boss”, come era soprannominato dai suoi subalterni, a chiamare i torturatori argentini per addestrare la polizia segreta dell’Honduras.
Le testimonianze dei sopravvissuti raccontano del metodo che era usato per le sevizie: mantenuti nudi la maggior parte del tempo, i prigionieri subivano scariche elettriche attraverso elettrodi posti nei genitali. Quindi veniva applicato loro un cappuccio di caucciù, che era stretto alla gola in maniera da provocare una sensazione di soffocamento. Le donne erano sistematicamente violentate. Alla ricerca della verità, i cronisti del Baltimore Sun viaggiarono in Canada per incontrare anche gli ex componenti del Batallón 3-16, al tempo in comodo esilio e che confermarono quanto descritto dalle loro vittime, apportando anzi altri particolari sui rapimenti e suoi luoghi di detenzione, nonchè sui metodi di eliminazione fisica. Il veleno, il soffocamento, ed il già descritto salto dagli elicotteri in volo sull’oceano erano la norma in questo campionario dell’orrore.
“Ci imploravano che li uccidessimo” riportava al Baltimore Sun, Josè Barrera, uno dei torturatori dalla sua casa di Toronto: “La morte era sempre meglio che la tortura”.
Secondo il nipote del generale Álvarez Martínez, membro dello squadrone della morte, fu proprio la consulenza degli esperti statunitensi a rendere più efficace la tortura: “Portarono con sè la tecnologia e le tecniche di interrogatorio più sofisticate”.
La collusione e la partecipazione della Cia alle attività clandestine in Honduras è stata successivamente confermata da Richard Stolz, che all’epoca era il secondo in grado dell’Agenzia nella regione. Nel 1997 il Pentagono ammise l’addestramento ai torturatori honduregni, risaltando che l’obiettivo del Batallón 3-16 di fiaccare i gruppi di sinistra non ebbe esito positivo per la tendenza del gruppo a “usare troppa violenza”.
L’ex generale José Bueso Rosa, che fu Capo di stato maggiore, non ha dubbi, invece sulle origini del battaglione: “Furono gli americani a volere un gruppo segreto di intelligenza. Avevano bisogno di informazioni ed il Batallón 3-16 rispondeva a questa esigenza”.
La Prensa di Tegucigalpa riporta in questi giorni, riprendendo fonti inglesi, che i metodi di persuasione usati sui prigionieri iracheni di Abu Ghraib sono gli stessi che compaiono nel manuale consegnato alla polizia segreta honduregna nel 1983. Impossibile che Negroponte non ne fosse al corrente, dato che si trattava di una pubblicazione proveniente dalla Centrale di intelligenza statunitense e che passava sotto la sua supervisione. Nell’opuscolo (dal titolo emigmatico: “Manual de entrenamiento para la explotación de recursos humanos”, il manuale di addestramento per lo sfruttamento delle risorse umane) si insiste sulla necessità di fiaccare, attraverso la nudità ed altre pressioni psicologiche e fisiche, la capacità di resistenza del prigioniero. Lo scopo, naturalmente, era quello di ottenere il più alto numero possibile di informazioni, per poi sbarazzarsi del prigioniero. La scelta se restituirgli la libertà o eliminarlo, rimaneva a discrezione del gruppo di torturatori.
All’Aguacate, sotto i frondosi e silenti alberi di avocado, sono stati trovati nel 2001 i corpi dei desaparecidos, le vittime del Batallón 3-16. Gli scavi, alla fine, hanno riportato alla luce 185 cadaveri, alcuni dei quali ancora oggi restano senza un nome. Tra questi, ci sono anche i resti di due missionari statunitensi e di 28 militari nicaraguensi, rapiti dal fronte, torturati e quindi eliminati all’Aguacate nel tentativo di carpire loro informazione sugli spostamenti dell’esercito sandinista.
Eppure, per Negroponte l’Honduras doveva apparire, agli occhi del mondo, una specie di landa paradisiaca. Secondo la versione dell’ex ufficiale Rick Chidester, che lavorava nell’ambasciata statunitense a Tegucigalpa, Negroponte in persona gli ordinò di omettere dal rapporto sui diritti umani del 1982 qualsiasi accenno alle torture e ai desaparecidos. Lui stesso, poi, si incaricò di dichiarare a The Economist, per smentire l’ex capo dei servizi segreti honduregni Leónidas Torres che aveva denunciato gli abusi, che la presenza di squadroni della morte in Honduras, era una menzogna.
Proprio la menzogna, eretta a verità per l’opinione pubblica, è stata la base sulla quale Negroponte ha costruito la sua carriera diplomatica. Bugie per il Senato, che lo interrogava sui desaparecidos; per i giornalisti che lo incalzavano sulle torture; per gli elettori, che aspettavano risposte sullo scandalo Iran-Contra; per gli inviati dell’Onu davanti ai quali ha giurato che in Honduras, durante il suo mandato, non furono mai violati i diritti umani. Menzogna necessaria, questa, per assurgere al ruolo di ambasciatore degli Usa presso il Palazzo di vetro, incarico che ha ricoperto a partire dal 2001.
Adolfo Aguilar Zinser, capo della missione diplomatica messicana all’Onu, ha una idea precisa sulla personalità di Negroponte: “Chi pensa che sia una persona aggressiva, sbaglia. In realtà, evita sempre i chiarimenti. Preferisce puntualizzare che, in quanto ambasciatore, segue solo delle istruzioni”.
L’ex deputato Efraín Díaz ricorda la risposta che otteneva da Negroponte quando andava da lui in ambasciata per lamentarsi delle sparizioni: “Bisogna essere tolleranti con la polizia segreta. Meglio tacere”.
Negroponte, sulle verità del Centroamerica, di fatto ha sempre taciuto. Troppi cadaveri nell’armadio, 185 solo all’Aguacate. Come ha taciuto il generale Álvarez Martínez, per cui il destino aveva riservato l’onta del voltafaccia dei suoi stessi ufficiali, disgustati dal terrore che si era impadronito della società civile honduregna. Esiliato prima in Costa Rica e poi a Miami, il generale ammiratore di Rommel aveva pensato, però, che l’incontro con Cristo ed il protestantesimo evangelico lo avrebbe potuto salvare dal giudizio dei suoi connazionali. Si era messo a predicare, presentandosi per le strade e per le congregazioni come un nuovo messia. Invece, tornato in patria per raccogliere fedeli per la sua chiesa è stato assassinato nel 1989 in un agguato: diciotto pallottole gli hanno tolto ogni possibilità di redenzione e di spiegazione sui legami del suo Batallón 3-16 con la Cia e l’ambasciatore Negroponte.

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Tuesday, June 03, 2008

Uragani e carestie

La regione centroamericana è stata colpita la settimana scorsa dalla tormenta Alma. È stata la prima della lunga stagione degli uragani e si è distinta per un particolare che appare preoccupante. Per la prima volta, infatti, il fenomeno meteorologico si è formato al largo delle coste del Pacifico della Costa Rica, un paese che per la sua morfologia si è tenuto sempre al largo dai forti uragani che entrano abitualmente dalle coste atlantiche dei caraibi centroamericani.
Alma non ha raggiunto la forza di un uragano, ma ha lo stesso causato uno sfacelo. In Honduras, nell´aeroporto di Toncontín, un aereo è andato lungo in atterraggio causando cinque morti e diversi feriti; diverse imbarcazioni sono affondate nel Pacifico (il conteggio delle perdite è ancora impreciso); gente ignara in auto è stata trascinata dai fiumi in piena. Migliaia di persone sono state e continuano ad essere evacuate. Ma non sono solo le perdite umane a contarsi, ma anche quelle materiali. León e Managua in Nicaragua sono in ginocchio da giorni, mentre da una settimana sono interrotte le strade che uniscono Panama e Costa Rica. La terra è satura di acqua e tutte le coltivazioni sono a rischio.
Alma si è appena calmata che sulle coste del Guatemala è arrivato Arthur. Siamo solo alla lettera A. Il degrado del clima appare evidente e, anche se a Roma in questi giorni si parla di come ottimizzare le risorse per affrontare la crisi alimentaria (l’Associated Press ha postato questo sintomatico articolo: “I leader mondiali discutono di carestia e mangiano come dei¨:
http://www.nacion.com/ln_ee/2008/junio/03/mundo1563452.html), l´emergenza meteorologica rimane indissolubilmente legata all´equazione causa-effetto per le carestie presenti e del futuro. Sembar, però, che siano pochi ad accorgersene. Intanto, continua a piovere.
Il monitoraggio sugli uragani:
http://hurricane.accuweather.com/hurricane/index.asp

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