blog americalatina

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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Monday, February 25, 2008

Il Centroamerica armato

Il commercio delle armi da fuoco non è mai in declino. Tuttaltro. Organizzazioni non governative hanno rivelato in questi giorni che in Messico circolano almeno quindici milioni di armi, di cui l’85% illegali. Inoltre, di questi quindici milioni, il 25% è composto da AK-47, AR-15 e P90, tutte capaci di un alto potere di distruzione.
Il contrabbando è costante e segue ogni tipo di rotta. La maggior parte delle armi arriva però attraverso la frontiera terrestre con gli Stati Uniti. Si tratta di una situazione scabrosa, già che mentre gli Usa operano controlli severissimi in materia di immigrazione clandestina, chiudono invece tutti e due gli occhi quando si tratta dei carichi di armi che vengono riversati sul Messico. Lungo la frontiera, secondo uno studio condotto da Small Arms Survey (
http://www.smallarmssurvey.org), esistono almeno dodicimila posti di smistamento delle armi, con negozietti improvvisati che vendono pistole e fucili a chiunque.
Comprare armi negli Usa è estremamente facile. È sufficiente presentare una patente d’auto e un certificato di fedina penale pulita per poter acquistare un paio di pistole o un fucile ad alta precisione al giorno. Gli intermediari messicani utilizzano cittadini statunitensi per l’acquisto massiccio -soprattutto durante i “gunshow”, frequenti in Texas e California (qui la lista per tutto l’anno:
http://www.gunshows-usa.com/)- per poi passare il confine con i carichi che vengono smerciati sottobanco nelle drogherie e nei piccoli supermercati di paese.
La situazione è esplosiva anche in Centroamerica. Narcotraffico e delinquenza organizzata hanno aumentato il loro potere delittivo grazie all’impunità con cui le armi viaggiano da una frontiera all´altra della regione. La grande offerta ha abbattuto i costi, al punto che un AK-47 può essere comperato al prezzo risibile di 60 dollari. Si tratta di uno dei pochi prodotti al mondo il cui prezzo diminuisce con il passare del tempo invece di aumentare. Le campagne per smilitarizzare i paesi colpiti dai conflitti non hanno dato i frutti sperati. La maggior parte della gente ha conservato le proprie armi ed oggi ne compra di nuove. Si reputa che nel Salvador esistano almeno mezzo milione di armi, mentre in Nicaragua sono almeno 300.000, ma si tratta di dati ufficiosi. I governi non hanno fatto nulla per scoraggiare la tenenza d’armi. Il Guatemala, per esempio, che soffre di un alto indice di criminalità, permette fino a dodici armi per persona.

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Saturday, February 23, 2008

Il funesto anniversario di Ingrid

Sei anni ostaggio, sei anni nella foresta in mano alle Farc. Ingrid Betancourt compie oggi questo infausto anniversario lontana dalla sua famiglia e con poche speranze riguardo il proprio futuro. Attorno a lei e alla sua figura, si è montato uno spettacolo della miseria umana dove le parti coinvolte, le Farc ed il governo di Álvaro Uribe, fanno a gara per dimostrare a chi fa peggio. Entrambe sono impegnate a speculare e a cercare di trarre qualche vantaggio chi pratico (le Farc, che chiedono la liberazione di 500 prigionieri in cambio della Betancourt e delle altre decine di sequestrati in loro mano) chi di immagine (il governo, che promuove marce assolutamente faziose come quella del 4 febbraio scorso).
Quello della Betancourt sembra doversi trasformare in un sequestro infinito. In questi giorni c’è di nuovo un grande fermento di politici e mediatori e questo fa almeno sperare, a confronto degli anni passati, trascorsi nella maggior parte in assoluto silenzio. Ma l’essenza non cambia. Sono sei anni trascorsi nel limbo, in una morte in vita provocata a un agente di pace da chi trova interessi e vantaggi solo dalla guerra.
Una cronologia del sequestro:
http://www.univision.com/contentroot/wirefeeds/noticias/7413401.html
Agnoletto e il viaggio dei rappresentanti dell’UE in Colombia, con il commento sulla manifestazione del 4 febbraio: http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=10063
Sito di sostegno a Ingrid in Italia: http://www.betancourt.info/indexIt.htm

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Monday, February 18, 2008

Il Guatemala rispolvera la pena di morte

Álvaro Colom ha compiuto i primi trenta giorni della sua presidenza incentrando le sue priorità sulla lotta alla criminalità. La trincea è la strada e sulla strada, in una settimana, ci hanno lasciato la pelle sette autisti di bus (undici in tutto il mese), categoria che è diventata l’obiettivo più esposto per i pandilleros. Gli assalti agli autobus, che erano diventati una costante nella capitale guatemalteca, sono stati ora repressi con la presenza di pattuglie dell’esercito che compiono i viaggi assieme ai passeggeri. 2800 poliziotti e tremila soldati sono dislocati in questi giorni per permettere il regolare funzionamento del trasporto urbano.
Ma la mano dura non finisce con la presenza militare alle fermate dei bus e nelle vie cittadine. Colom ha deciso di rispolverare la pena di morte, ristabilita sotto la presidenza di Arzú, e di renderla ora effettiva. Gli stessi 41 prigionieri del braccio della morte del carcere di Pavón hanno lavorato nei giorni scorsi per ristrutturare il loro funesto padiglione, mentre Colom ha dichiarato che chiedere la grazia sarà tempo perso, già che non ne concederà alcuna.

Le esecuzioni saranno effettuate per mezzo di un’iniezione letale ed hanno aperto una dibattito aspro nella società guatemalteca: http://www.jorgecabrera.com/blog/index.php/2008/02/13/vuelve-la-pena-de-muerte-la-sed-de-venganza/
Le ultime esecuzioni in Guatemala risalgono all’anno 2000, quando vennero giustiziati Luis Amilcar Cetín e Tomás Cerrate, autori del rapimento ed uccisione di Isabel Bonifaci de Botrán, erede della dinastia Botrán (
http://www.ronesdeguatemala.com/).
Sulla questione si è mobilitata Amnesty International, che ha chiesto a Colom di non riprendere le esecuzioni, già che solo due mesi fa il Guatemala aveva votato all’Onu a favore della moratoria internazionale.

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Tuesday, February 12, 2008

Niente di nuovo per i paseros

Sono passati quasi due anni dall’inchiesta che Lillo Rizzo fece alla frontiera tra Bolivia ed Argentina sui paseros. La situazione da allora non ha trovato ancora una soluzione e centinaia di famiglie boliviane continuano ad essere sfruttate dai commercianti ed imprenditori che vivono nei pressi di quel confine. Nell’articolo che avevo scritto per Narcomafie e che corredava la denuncia fotografica di Lillo, facevo riferimento alla tragica situazione dei minorenni, costretti ad abbandonare la scuola per un lavoro faticoso, e alla completa mercé di sconosciuti.
Una decina di giorni fa questo articolo del Clarín ricordava come la situazione dei minorenni sia ancora estremamente fragile:
http://www.clarin.com/diario/2008/01/25/sociedad/s-03201.htm
La Bolivia, infatti, non ha ancora terminato di discutere una legge che tuteli i minorenni dallo sfruttamento ed i casi di bambini che vengono inviati nelle città argentine a prostituirsi o a servizio in condizioni di schiavitù, continuano a ripetersi. La situazione generale dei paseros (il cui compito è quello di trasportare a braccia o caricati come muli casse di merci da un lato all’altro della frontiera) non è quasi cambiata. Il salario è di un’ottantina di dollari al mese per caricare casse che spesso raggiungono più di cento chili di peso, sotto il sole a picco o la pioggia incessante. Per loro, non è ancora stata studiata una soluzione: le promesse sono sempre quelle di due anni fa e nulla è cambiato.
Un panorama della situazione, con i commenti dei lettori -che danno un’idea di come si viva il problema in Argentina ed in Bolivia-, lo si può trovare su questo articolo di Infobae del novembre scorso: http://www.infobae.com/contenidos/351161-100796-0-El-drama-los-paseros-la-frontera-Bolivia

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Thursday, February 07, 2008

Cile, un esercito da riformare

Santiago Santelices è stato uno di quegli uomini capaci di camuffarsi nel potere, passando senza riportare alcun danno personale dagli uffici della dittatura a quelli della democrazia. Ma è anche l’esempio di come lo Stato cileno, che si proclama democratico ed ora anche progressista, sia comunque una costruzione fragile, che si basa sui dettami e sull’eredità lasciata da Pinochet e dagli anni della dittatura.
Santelices, generale dell’esercito, è stato per anni comandante della guarnigione militare più importante del Paese, quella della capitale Santiago e membro del Comando supremo dell’esercito, finchè un giudice ha inserito il suo nome tra quelli degli accusati di aver partecipato alla Carovana della morte, gli squadroni che seminavano la morte tra gli oppositori al regime pinochetista.
Santelices, che si è ritirato in attesa del processo, parla e si difende.
Ero giovane, avevo solo venti anni ed i fatti occorsi non furono nè previsti, nè preparati, nè desiderati”. E continua: “La conseguenza di quei giorni è stato il mio impegno per rafforzare i principi dell’onore militare”.
Insomma, facile a dirsi, a tanti anni di distanza. Resta da chiedersi che cosa abbia spinto il giovane Santelices ad arruolarsi nella scuola per ufficiali in pieno regime dittatoriale: l’amore per il prossimo?
Il caso, però, è molto più ampio e rappresenta un vero terremoto per il gabinetto della Bachelet. Dei nove generali che compongono l’attuale Comando supremo dell’esercito cileno, ben cinque sono coinvolti nella denuncia. Gli altri sono Guillermo Castro, Julio Baeza, Cristian Le Dantec ed Eduardo Aldunate. Sequestro di persona, omicidio, strage: per gli alti ranghi militari c’è un poco di tutto.

Juan Guzmán, il giudice del caso, si lamenta soprattutto dell’omertà e del patto di silenzio che tutti questi generali hanno mantenuto lungo gli anni. Un patto tacito, che ha permesso all’esercito di mantenere immutata la sua natura repressiva di un corpo chiuso in sè stesso e nei privilegi di casta. Se la Bachelet vuole dare un segnale chiaro alla società civile deve infine rigenerare le cariche e dare spazio a volti nuovi.

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