blog americalatina

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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Monday, April 30, 2007

Il polso dell'Alba

Che Fidel Castro torni o no a dirigere le sorti di Cuba dal prossimo primo maggio, è stata la notizia che ha caratterizzato il summit dell’Alba che si è svolto a Barquisimeto. Una notizia che ha posto in secondo piano quanto discusso nella località venezuelana, che poi dà il polso di come stanno procedendo i lavori dell’Alba. Già che si tratta dell’alternativa all’Alca e alle varie iniziative che vogliono promuovere trattati unilaterali, è bene sapere cosa sta succendendo. Quattro presidenti (Chávez del Venezuela, Ortega del Nicaragua, Morales della Bolivia, René Preval di Haiti), un vicepresidente (Carlos Lage, di Cuba) e cinque osservatori (Ecuador, Uruguay, Saint Kitts and Nevis, San Vicente Granadinas, Dominica) è il fronte Alba presentato a Barquisimeto, la città dei crepuscoli.
La dichiarazione finale parla ancora, come nelle passate riunioni, di intenti ma non ha ancora messo in pratica le soluzioni. Chávez insiste sul valore dell’energia, il petrolio prima di tutto: è questo il motore dell’alleanza, una conferma, ma anche un punto già trattato a lungo al quale non si è ancora riusciti a dare uno sviluppo concreto.
Forse anche per questo, le dichiarazioni sul ritorno di Fidel giungono opportune. L’Alba per il momento è una bella prospettiva, ma niente di più. Per il momento, dobbiamo accontentarci ancora di progetti e di intenzioni.
L’Alba è il primo sforzo storico di costruzione di un progetto globale latinoamericano” ha letto Chávez ed ha continuato: “Il principio basico dell’Alba è la solidarietà tra i popoli senza nazionalismo egoista e politiche restrittive che possano ostacolare l’obiettivo di costruire una patria grande”.
Tutto qui, per il momento. È una corrente di pensiero, forse anche un’ideologia, ma ha tanto cammino davanti ancora da percorrere. Nicaragua, Haiti, Bolivia sono tra i paesi più poveri del continente e quanto viene offerto in questi summit apre la fantasia e la speranza di milioni di poveri. L’Alba, insomma, è arrivato ad un bivio. Liberarsi dalla retorica e cominciare a crescere, per dimostrare che un’altra America è possibile.

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Sunday, April 29, 2007

Poteri speciali per Alan García

Anche Alan García, conservatore fino al midollo nonostante la sua appartenenza all’Apra, ha ricevuto poteri speciali dal Congresso. García potrà governare per decreto nei prossimi sessanta giorni, dopo aver chiesto ed ottenuto dal parlamento la libertà di usare la mano dura. Il presidente peruviano agirà su temi riguardanti, naturalmente, la sicurezza del paese, quindi dal narcotraffico al crimine organizzato. Secondo le intenzioni di García, le leggi che promulgherà vorranno proteggere il cittadino, dando così una svolta ad un codice penale che finora si è dimostrato specialmente lassivo con chi delinque.
Sarà interessante vedere nei prossimi giorni se questa promessa verrà mantenuta, già che esistono altre ragioni precise e più occulte sulla scelta del governo per decreto.
Innanzi tutto c’è la paura della bolivizzazione del Perù, che già durante le elezioni era arrivato ad un passo dalla vittoria di un leader indigeno e nazionalista, Ollanta Humala. García non vuole ripetere quell’esperienza e per farlo ha bisogno di debilitare la base dell’organizzazione indigenista. Non è un segreto che i primi ad essere colpiti dalle leggi per decreto saranno i gruppi di cocaleros che da quasi due settimane sono in sciopero. Secondo García i contadini produttori di coca sono solo complici del narcotraffico e su loro si abbatterà la repressione del governo. Il vero timore, naturalmente, è quello che i movimenti cocaleri possano organizzarsi sul modello di quanto accaduto in Bolivia, dove sono riusciti a portare Evo Morales sino alla presidenza della Repubblica.
C’è poi l’ombra del Trattato di libero commercio con gli Stati Uniti. Un Perù in disordine e con i movimenti sociali in fermento spaventa il presidente perchè allontana gli osservatori e gli investimenti. Gli Usa per continuare le trattative hanno bisogno di un clima che attiri capitale: García lo sa bene e sta facendo apposta di tutto per ottenere questo benedetto trattato.
Per il gossip, su youtube, Alan García, non proprio un esempio di fedeltà, rivela –presente la moglie- la nascita di un altro figlio fuori del matrimonio:
http://www.youtube.com/watch?v=QyYz47HMe8E

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Wednesday, April 25, 2007

E l'Europa tace

L’Europa tace sulla liberazione di Posada Carriles e tace –mi sembra, perchè non sono riuscito a trovare nessuna presa di posizione a livello istituzionale- soprattutto l’Italia, che di cose da dire sull’avvenimento ne dovrebbe invece avere. Ma la nostra politica estera sull’America Latina è da tempo ancorata sulle sterili visite –che somigliano più a vacanze- di sottosegretari con interessi privati in differenti paesi del continente.
L’unico ad aprire bocca nel Parlamento europeo, a chiedere se i suoi colleghi avessero intenzione di prendere una posizione sulla liberazione di un terrorista, è stato Willy Meyer che, nonostante il suo nome, è spagnolo e rappresenta la Izquierda Unida. Non c’è bisogno comunque di essere di sinistra per condannare le azioni di Posada Carriles, il cui gioco è stato sempre e solo quello di seminare il terrore, colpendo indiscriminatamente la popolazione civile: la bomba sul volo 455 di Cubana de Aviación (73 morti), le bombe del 1997 dove morì Fabio Di Celmo, le varie azioni all’interno dell’Operazione Condor non hanno ucciso esponenti della rivoluzione cubana, ma solamente dei civili ignari del destino a cui andavano incontro.
Il movimento dei Paesi non allineati ha preso una dura posizione sulla liberazione del terrorista, dimostrando come un certo mondo abbia ancora la forza ed il diritto di indignarsi e di protestare (il testo tradotto all’italiano è sul blog di Antonio Pagliula: .
http://verosudamerica.blogspot.com/2007/04/dichiarazione-dei-paesi-non-allineati.html).
L’Europa sta zitta quindi e viene da chiedersi se lo fa per convenienza o per ignoranza. È la nostra politica, circondata da un devastante opportunismo e –nel caso del nostro governo- da una incapacità di mettere a fuoco le priorità. Non credo che condannando Posada Carriles e la decisione della sua liberazione si facciano gli interessi di Cuba, ma che si faccia la politica di tutti gli uomini con un poco di senno. Per prendere posizione, però, ci vuole fermezza, qualità che attualmente in Europa, chi governa, ne ha ben poca. Il terrorismo è uno solo e come tale dobbiamo trattarlo.Continua intanto la mobilitazione internazionale per evitare che, oltre alla liberazione, Posada Carriles ottenga ora anche un repentino asilo politico da parte di una nazione amica di Washington.

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Tuesday, April 24, 2007

Sul Plan Puebla Panamá

Sulla questione del Plan Puebla Panamá ho pubblicato una nota su Peacereporter uscita oggi e che potete trovare su questo link:
http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=7837
Il bottino è davvero cospicuo e lascia poche speranze il silenzio adottato sulle questioni ambientali e sociali. La regione centroamericana si presta ad un intenso sviluppo nei prossimi anni e la mancanza di pianificazione giustifica una ragionevole ed accorata preoccupazione.

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Saturday, April 21, 2007

Firmiamo contro la liberazione di Posada Carriles

La liberazione di Posada Carriles, avvenuta lo scorso giovedì –non ho potuto aggiornare il blog perchè in viaggio- anche se ci indigna era prevedibile. È stato infatti l’ultimo atto di un copione già scritto, dove la parola terrorista si applica solamente per questioni di comodo. In fondo, per gli Usa, il cubano ex agente Cia, aveva solo infranto le regole migratorie e la richiesta di Cuba e Venezuela per la sua estradizione (alle quali si aggiungerà ora anche il Nicaragua) non sarebbe mai stata accettata dalle corti statunitensi.
Posada Carriles ha ritrovato la libertà. Abbiamo scritto molto su questo blog delle azioni di questo personaggio che ha ucciso, ha fatto uccidere ed ha consegnato le armi con cui uccidere persone innocenti. Lo ha detto e ricalcato lui stesso e ne è sempre andato fiero, finchè non era apparso evidente che sarebbe potuto andare incontro a dei guai. Posada Carriles è un amico per l’attuale amministrazione di Washington, ingombrante, ma pur sempre un amico. Ma è un terrorista. Firmiamo l’appello per condannare la sua liberazione:
http://www.porlajusticia.cult.cu/index.php?cont=registro&lang=2&declara=5

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Friday, April 20, 2007

Referendum in Costa Rica

Il Cafta in Costa Rica rischia di diventare la storia infinita. Il governo di Oscar Arias ha chiesto un referendum, giocando in anticipo sull’opposizione che aveva chiesto la stessa iniziativa poco tempo fa. Questo gli permetterebbe di dettare le regole del gioco anche nella consulta popolare dove il Sì conta con l’appoggio ed i fondi degli industriali e dei settori conservatori. In tutta la sua storia, in Costa Rica non c’è mai stato un referendum (il paese ha avuto la sua indipendenza nel 1821), strumento ritenuto pericoloso in quanto –appunto- può veramente fare la volontà del popolo: le prove di democrazia, si sa, vanno centellinate.
Perchè si possa indire il referendum c’è però bisogno di 132.000 firme (il 5% degli elettori), dopodichè se la percentuale dei votanti non superasse il 40% degli aventi diritto, la consulta popolare non sarebbe valida, lasciando via libera al Congresso per la decisione definitiva. L’opposizione reputa l’intera operazione come una tattica diversiva, che permette ad Arias di aggirare l’ostacolo del ripudio popolare al Cafta ed evitare così allo stesso tempo le manifestazioni di piazza. Le ultime marce contro il trattato commerciale avevano infatti dimostrato una certa maturità del movimento, che era riuscito ad escludere gli elementi più radicali e a presentarsi unito e risoluto.
Con il decreto legge approvato dal Congresso, il referendum si dovrebbe svolgere ad agosto. I termini di decorrenza perchè la Costa Rica sia parte del Cafta scadono invece nel marzo 2008.

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Friday, April 13, 2007

L'Ecuador al voto domenica

L’Ecuador è pronto per il referendum. Domenica si andrà alle urne dopo che solo questa settimana il paese è tornato a vivere di una certa legalità, con la ripresa delle attività del Congresso.
Gli elettori dovranno dire sì o no all'istituzione di una Assemblea costituente il cui compito sarà quello di elaborare una nuova costituzione. È questo il primo passo voluto dal presidente Correa per la riforma profonda dello Stato: da destra si clama allo scandalo, già che si verrebbe ad istituire la figura di un presidente-padrone; da sinistra, invece, l’invito è votare per la riforma che permetterebbe di affossare una volta per tutte il modello oligarchico e clientelista dello Stato attuale.
Il destino dell’Ecuador si muove su un filo molto labile e Correa sa perfettamente che dal cilindro del referendum non può che uscire un Sì. Otto presidenti in dieci anni, tre dei quali deposti da altrettante rivolte popolari, la dicono lunga su come sia difficile governare. Correa, dopo il colpo di mano che ha fatto quasi scomparire l’opposizione nel Congresso, sa che l’approvazione della Costituente è il prossimo indispensabile passo per disegnare il nuovo Stato e per questo ha moltiplicato le sue apparizioni in televisione e le dichiarazioni a giornali e mezzi di comunicazione. La sua popolarità è di nuovo aumentata ed è giunta, in certi sondaggi, fino ad un 70%. Stando a questi dati non dovrebbe essere difficile la vittoria nel referendum. Alcuni mettono già le mani avanti, come l’analista Ramiro Aguilar secondo cui la vittoria del sì non sarà una dimostrazione di appoggio a Correa, quanto il rifiuto del modello politico che è stato finora vigente. Nel linguaggio politico significa insomma che il presidente ha buone possibilità di fare passare il referendum e con questo aprire una nuova tappa per l’Ecuador.

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Tuesday, April 10, 2007

Rivive il Plan Puebla Panamá

Dopo sei anni di sonno, torna a fare parlare di sè il piano Puebla Panamá. Da oggi sono riuniti a Campeche, in Messico, i presidenti dei paesi interessati al piano: Messico, Belize, Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica, Panama e Colombia. Ognuno di loro, quando nel 2001 venne inaugurato l’asse, aveva ricevuto un settore del quale interessarsi (sviluppo, trasporto, turismo, telecomunicazioni, energia, ambiente). In sei anni sono arrivati più di cento progetti per 8000 milioni di dollari, che si sono caratterizzati per essere rimasti lettera morta.
A cercare di ridare vita a questo cadavere eccellente ci ha pensato il Messico, che al tempo fu anche l’ideatore del progetto. Nelle intenzioni di allora c’era il “miglioramento della qualità di vita della popolazione della regione” –così si diceva nel documento di intenti- “per realizzare con questo uno sviluppo equilibrato, territorialmente ordinato ed economicamente sostenibile” della regione centroamericana.
Tante belle parole, senza dubbio, e rimaste tali perchè a pronunciarle fu Vicente Fox, uno dei presidenti messicani che dimenticheremo facilmente. Calderón non vuole essere da meno del suo predecessore ed ha chiamato a raccolta i colleghi centroamericani per rilanciare un piano che ha sempre incontrato forti critiche da parte di gruppi sociali ed ambientali. Pochi hanno infatti creduto, per esempio, che i 12.600 chilometri di strade previste nel progetto iniziale possano rispettare i diritti degli abitanti delle zone interessate e di un ambiente che si caratterizza per la sua forte eterogeneità.
Uno dei temi chiave che saranno vagliati a Campeche sarà la costruzione di una raffineria di petrolio della messicana Pemex in uno dei paesi del Centroamerica. La proposta, lanciata da Oscar Arias, si scontra con quella presentata un paio di mesi fa a Managua da Hugo Chávez, che vorrebbe costruirne una in Nicaragua. Insomma, resuscitando il Puebla-Panamá c’è di mezzo anche una bella fetta di dominio geopolitico.

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Monday, April 09, 2007

In marcia per l'amnistia

È stata una marcia pacifica, quella di sabato a Los Angeles, alla quale hanno partecipato più di quindicimila persone per chiedere l’amnistia per tutti gli illegali che si trovano negli Stati Uniti attualmente, circa dodici milioni di persone che perderebbero tutti i loro diritti una volta entrata in vigore la legge migratioria voluta da Bush.
La mobilitazione continua non solo nei paesi latinoamericani, ma in tutti gli Stati Uniti. Il calendario delle manifestazioni e delle mobilitazioni su questo link:
http://answerla.org/
(La foto è dell’Associated Press).

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Thursday, April 05, 2007

Ancora sui biocombustibili

Alle inquietudini lanciate nei giorni scorsi sui biocombustibili, cominciano a giungere le prime risposte e non certo confortanti. Due economisti della Minnesota University, Ford Runge (http://www.law.umn.edu/facultyprofiles/rungef.htm) e Benjamin Senauer (http://www.apec.umn.edu/Benjamin_Senauer.html), pubblicheranno i risultati del loro studio sui biocombustibili sul numero di maggio/giugno della rivista Foreign Affairs (http://www.foreignaffairs.org/). Hanno però già anticipato alcuni passi delle loro conclusioni. Secondo i due studiosi, il primo risultato che si otterrà, sarà l’aumento del prezzo dei cereali dai quali si può ottenere combustibile, come il grano, così come della soia o della canna da zucchero. Proprio il caro prezzi escluderà dall’acquisto di grano, mais e zucchero la fascia della popolazione mondiale che attualmente vive al limite della soglia di povertà. Per il 2015, pochi anni quindi, il numero di chi soffre la fame aumenterà di almeno 600 milioni di persone: questo il costo perchè gli Stati Uniti e le altre nazioni ricche possano ridurre la loro dipendenza dal petrolio del 20% almeno.
La polemica, intanto, continua. Lula ha risposto a Fidel Castro, obiettando che lo sviluppo dell’industria dei biocombustibili porterà migliaia di posti di lavoro e, quindi, benessere per i lavoratori. Il Brasile conta ora come partner anche la Bolivia e l’Ecuador, che suppone uno strappo in materia commerciale ed economica con Caracas. Castro ha pubblicato un nuovo articolo sull’argomento, “La internacionalización del genocidio” che appare sul numero ordierno di Granma:
http://www.granma.cu/espanol/2007/abril/mier4/14reflecciones.html

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Wednesday, April 04, 2007

La geopolitica dei biocombustibili

La polemica è servita: quanto servono, nella realtà, i biocombustibili? Affameranno il mondo? Fidel Castro ha lanciato l’allarme la settimana scorsa, ma l’avviso è stato preso come la sparata di un senile rincoglionito (si veda “la Stampa, per esempio). Anche Lula, che una volta, da tornitore, è stato comunista, l’ha buttata sul faceto, ricordando come la tecnologia sia avanzata parecchio e che non è il caso di allarmare: la trasformazione dei cereali in combustibile non affamerà il mondo.
Intanto, il mondo è già affamato e preoccupa che Lula non lo sappia. Con solo un giro nelle migliaia di favelas del suo Brasile dovrebbe essersene accorto che la situazione non è poi così rosea.
I biocombustibili funzionano da tempo un po’ ovunque. Magari non saranno quella grande rivoluzione che si vuol fare credere (di fatto, se ne usa una piccola percentuale ed i prezzi al consumatore non cambiano) ma servono in questo momento soprattutto come terreno di scontro. Chávez non ne vuole sapere, perchè minano le vendite del petrolio venezuelano, base del suo potere, ma Bush li appoggia perchè ha trovato la breccia che gli mancava da tempo per stringere nuove e proficue amicizie in America Latina. Lula è così diventato un alleato inaspettato e soprattutto entusiasta del grande interesse dimostrato per l’etanolo che il Brasile produce a tonnellate ed i suoi derivati. Al carrozzone si è subito unito Tony Saca, che riceverà una raffineria per il suo Salvador. Interessante, no? Chávez promette una raffineria a Ortega in Nicaragua e subito dopo Bush e Lula ne promettono una al Salvador. Come diceva lo spot di una volta: siamo alle solite, Calimero.
La geopolitica del continente americano si muove insomma sulla base delle risorse energetiche. Un tema da tenere d’occhio. A una domanda, quella del vecchio senile, però, nessuno ha ancora risposto con basi scientifiche: affameranno il mondo i biocombustibili?
Come inquina la “biogasolina”:
http://colombia.indymedia.org/news/2006/03/39585_comment.php

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Sunday, April 01, 2007

Europa chiusa ai boliviani

Da oggi i cittadini boliviani non potranno entrare nel territorio dell’Unione Europea se non muniti di visto.
Negli ultimi mesi si è registrato un esodo dalla Bolivia, da parte di migliaia di persone che hanno cercato di approfittare il regime libero di entrata. Nei giorni scorsi, nonostante il visto non fosse ancora d’obbligo, le autorità spagnole hanno rimandato a casa il sindaco di La Paz e tre assessori. 86 cittadini boliviani, che partecipavano ad una crociera nel Mediterraneo, sono stati ributtati a mare dalle zelanti autorità dei porti di Valencia e Genova. Potranno vedere l’Europa solo dal ponte della nave, già che la polizia di frontiera li ha tacciati di possibili clandestini. Le denunce di maltrattamenti sono diventate centinaia, i drammi familiari si sono moltiplicati, già che la misura ha diviso famiglie che ora dovranno affidarsi ai tentacoli della burocrazia per potersi riunire.
Nell’epoca della libera circolazione delle merci e dei capitali (di indubbia provenienza) per gli uomini si fa sempre più difficile muoversi. E peggio ancora se il tuo passaporto porta lo stemma di paesi scomodi: Colombia, Bolivia, Perù, per esempio. Onesti cittadini vengono vessati per la provenienza, la libertà di movimento viene ristretta per l’appartenenza ad una nazionalità dalla dubbia reputazione per le autorità del primo mondo. I pregiudizi sono duri da abbattere. Questa situazione mi ricorda una triste barzelletta: se vedi un bianco correre è perchè sta facendo jogging, se è un nero è perchè ha appena rubato un portafogli.
I governi del mondo ricco vogliono le merci, ma fuggono dalle persone perchè non sanno che farsene. È la stessa ideologia del colonialismo, trasportata nell’ottica attuale. I danni irreparabili causati dallo sfruttamento delle economie africane o latinoamericane sono la fonte dell’emigrazione ed oggi come allora, Europa ed Usa non vogliono contribuire a riparare allo sfacelo che hanno provocato. I poveri devono rimanere a casa loro.
Cinquanta anni fa Toynbee diceva che l’Occidente aggrediva il resto del mondo. Le cose non sono cambiate di molto già che l’aggressione è viva quando l’Europa prende decisioni di questo tipo, o quando gli Usa decidono di costruire il loro assurdo muro alla frontiera messicana. Sono misure che ci vengono presentate come “preventive” ma che in realtà celano la repressione e la mano dura dell’Occidente verso tutto quello che è povero, differente e, soprattutto, privo di diritti. Ad ogni latitudine cresce così il risentimento verso chi approfitta e continua ad approfittare delle risorse altrui. Se l’Occidente non vuole clandestini o ospiti indesiderati ha solo un cammino da percorrere: pagare i danni o cambiare rotta.
Un video sulla situazione a Barajas:
http://www.informativos.telecinco.es/bolivia/espa%C3%B1a/visado/dn_44594.htm

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