Al Consiglio dell'Onu per necessità
Che valore ha il Consiglio di sicurezza dell’Onu? Per le nazioni che vi siedono in maniera permanente è importante circondarsi di buoni alleati. Bisogna saper scegliere quindi le nazioni che siederanno per due anni e che poi diventeranno giudici di decisioni di peso nell’ambito della politica internazionale.
In questi giorni la polemica ruota attorno alla decisione che si dovrà prendere su quale Paese, tra i candidati latinoamericani, sarà accettato in questo ristretto circolo. Da una parte c’è il Venezuela di Chávez, critico oppositore alle politiche statunitensi ed occidentali in generale; dall’altra c’è il malleabile e opportunista Guatemala di Berger, alleato degli Usa.
Essere parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu (http://www.un.org/spanish/docs/sc/)
è per un paese povero un ottimo affare. Secondo uno studio pubblicato da due ricercatori dell’università di Harvard, la necessità di ottenere privilegi ed aiuti economici rendono i paesi in via di sviluppo completamente inaffidabili all’interno di questa assemblea. I due, che si chiamano Ilyana Kuziemko ed Erik Werker, hanno studiato la diplomazia dei paesi in via di sviluppo nel seno dell’Assemblea, che è risultata condizionata dall’influenza dei membri permanenti. L’indipendenza nel voto nelle questioni importanti è quindi molto relativa, dato che i rappresentanti dei paesi poveri votano per chi ha offerto loro più aiuti. Nel caso degli Usa, è risultato che il governo di Washington ha aumentato i suoi investimenti di un 59% nei confronti di questi paesi in cambio di un voto favorevole. La cooperazione aumenta quando le decisioni da prendere sono vitali per la politica estera degli Stati Uniti, come nella guerra del Golfo.
Il Guatemala è quindi solo l’ultimo caso. Questo paese non possiede una traiettoria diplomatica di rilievo ed andrebbe al Palazzo di vetro proprio solo a fare gli interessi di qualcun altro. In cambio, natuiralmente, chiederà soldi e progetti di investimenti. La stessa stampa guatemalteca di stampo conservatore è critica rispetto alla posizione del governo (http://www.prensalibre.com/pl/2006/septiembre/17/151826.html).
Il lavoro dei due ricercatori sarà pubblicato sul numero di ottobre del Journal of Economic Policy: http://www.economic-policy.org/
In questi giorni la polemica ruota attorno alla decisione che si dovrà prendere su quale Paese, tra i candidati latinoamericani, sarà accettato in questo ristretto circolo. Da una parte c’è il Venezuela di Chávez, critico oppositore alle politiche statunitensi ed occidentali in generale; dall’altra c’è il malleabile e opportunista Guatemala di Berger, alleato degli Usa.
Essere parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu (http://www.un.org/spanish/docs/sc/)
è per un paese povero un ottimo affare. Secondo uno studio pubblicato da due ricercatori dell’università di Harvard, la necessità di ottenere privilegi ed aiuti economici rendono i paesi in via di sviluppo completamente inaffidabili all’interno di questa assemblea. I due, che si chiamano Ilyana Kuziemko ed Erik Werker, hanno studiato la diplomazia dei paesi in via di sviluppo nel seno dell’Assemblea, che è risultata condizionata dall’influenza dei membri permanenti. L’indipendenza nel voto nelle questioni importanti è quindi molto relativa, dato che i rappresentanti dei paesi poveri votano per chi ha offerto loro più aiuti. Nel caso degli Usa, è risultato che il governo di Washington ha aumentato i suoi investimenti di un 59% nei confronti di questi paesi in cambio di un voto favorevole. La cooperazione aumenta quando le decisioni da prendere sono vitali per la politica estera degli Stati Uniti, come nella guerra del Golfo.
Il Guatemala è quindi solo l’ultimo caso. Questo paese non possiede una traiettoria diplomatica di rilievo ed andrebbe al Palazzo di vetro proprio solo a fare gli interessi di qualcun altro. In cambio, natuiralmente, chiederà soldi e progetti di investimenti. La stessa stampa guatemalteca di stampo conservatore è critica rispetto alla posizione del governo (http://www.prensalibre.com/pl/2006/septiembre/17/151826.html).
Il lavoro dei due ricercatori sarà pubblicato sul numero di ottobre del Journal of Economic Policy: http://www.economic-policy.org/
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