blog americalatina

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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Friday, March 31, 2006

La disobbedienza di Tito Kayak

Tito Kayak è tornato in prigione. Ieri è stato arrestato di nuovo a Porto Rico, nel corso di una protesta contro l’imprenditore Julio Labatut, discusso anticastrista in esilio. Labatut stava ricevendo un premio dal Congresso portoricano, quando su di lui pesa il sospetto di essere il mandante dell’assassinio di Carlos Muñiz Varela, un independentista ucciso nel 1979. Da qui la protesta di alcune centinaia di persone di fronte al Campidoglio di Porto Rico.
Chi è, però, Tito Kayak? Il nome (quello vero è Alberto de Jesús Mercado) dice poco in Europa, ma Tito (48 anni) è tra gli ambientalisti più conosciuti dell’America Latina. Fondatore del gruppo Resistencia Amigos del Mar, ha condotto la sua prima vera protesta nel 1999, quando insieme ad altre migliaia di persone si è opposto all’occupazione dell’isola di Vieques da parte della Marina degli Stati Uniti (l’isola, abitata, è usata come poligono di tiro). Arrestato, ha provato in carne propria le prigioni federali, subendo vessazioni di ogni tipo. La sua obiezione di coscienza all’affanno militare gli è costata l’isolamento in un buco di pochi metri quadrati, con un trattamento degno delle segrete dello Spielberg proprio nel cuore nella patria della democrazia.
Una volta rilasciato ha continuato la sua opera di disturbo agli interessi delle grandi compagnie. La Marriott, quella degli hotel, lo ha fatto picchiare dai suoi sgherri perchè occupava la spiaggia destinata alla costruzione di un’ala di un loro albergo; la città di New York lo ha messo in galera per aver posto il vessillo di Porto Rico indipendente sulla corona della Statua della Libertà.
Ora, torna in prigione per aver cercato di ammainare la bandiera statunitense dalla piazza del Campidoglio di Porto Rico.
Per saperne di più su Tito Kayak, qui un’intervista:
http://pr.indymedia.org/news/2005/10/10854.php

Thursday, March 30, 2006

L'Argentina non vuole più piangere

Le cronache di Italo Moretti sono state, per noi generazione di quarantenni, per lungo tempo l’unica voce che ci arrivava direttamente dai luoghi dove si faceva la storia. Non c’era internet, non c’erano i blog e i pochi inviati risultavano l’unica fonte da dove attingere le notizie. A me, la voglia di fare giornalismo me l’aveva fatta venire da bambino un inviato storico della Rai, Marcello Alessandrini credo si chiamasse, con le sue cronache in prima linea durante la Guerra dei Sei Giorni.
Moretti è stato testimone di grandi eventi del nostro tempo, tra cui il golpe in Argentina. Oggi lo sta ricordando con un volume edito da Sperling&Kupfer, “L’Argentina non vuole più piangere – Da Perón a Kirchner”.
Stasera Moretti è dagli amici di Aosta, all’Espace Populaire (via Mochet 7), alle 21. Accanto a lui ci saranno Enrico Ventrella, dell’Associazione Italia-Nicaragua e Stefano Scherma. A moderare, l’abile regia di Salvo Anzaldi, della “Gazzetta Matin”.

Wednesday, March 29, 2006

Legge di migrazione all'ultimo atto

Dopo mesi di dibattito, la riforma migratoria è giunta al Senato degli Usa. La mobilitazione per protestare contro le mozioni repressive che chiede l’amministrazione Bush è stata enorme in quasi tutte le grandi città degli Stati Uniti. Mezzo milione di persone sono scese in strada a Los Angeles per dimostrare il ripudio alla proposta, ritenuta lesiva per tutte le persone che vogliono integrarsi nella società statunitense. Secondo fonti del Comune, è stata la maggior marcia registrata nella storia della città, superiore a quelle contro la guerra nel Vietnam
Bush difende la legge cone le parole di sempre: “Il programma di lavoratori ospiti è vitale per sgonfiare la pressione alle frontiere e permettere che la polizia si interessi delle minacce per la nostra sicurezza, come il narcotraffico ed il terrorismo”.
Integralisti con il turbante in Messico se ne vedono ben pochi, però la strategia della paura passa ora per l’emigrante. Dito puntato quindi contro i poveri del sud del continente americano, ai quali verrebbero chiuse le porte degli Stati Uniti in maniera permanente. La proposta dei repubblicani, lo ricordiamo, vuole sfruttare i lavoratori stranieri per sei anni per poi rispedirli al proprio paese. Inoltre, prevede severe pene carcerarie, trasformando il diritto della ricerca di nuove opportunità in un reato. L’ideatore di questa legge è un deputato dal nome di ciclista svizzero, Sensenbrenner. Viene dal Wisconsin, ha 63 anni, ed è stato anche l’ideatore del Patriot Act. Ha soldi a palate: la sua famiglia è proprietaria della Kimberly Clark, azienda che per pulirci il culo disbosca le foreste del Brasile e del Canada. Chiaro che del destino di un immigrato al signor Kimberly non gliene può importare meno che niente.
Le malefatte di James Sensenbrenner (in inglese):
http://www.idyllopuspress.com/meanwhile/?p=211

Monday, March 27, 2006

Night chicas

Hans Neleman è un fotografo olandese. Di lui è uscita tempo fa la raccolta “Night chicas”, una serie di foto sulla prostituzione in Guatemala. Sono immagini che valgono più di qualsiasi parola, dal forte valore di impatto sociale. Neleman ha visitato i sobborghi di Ciudad del Guatemala, i bar, i postriboli e ne ha tratto un lavoro unico, che ci porta a stretto contatto con la realtà dello sfruttamento femminile.
L’invito è a vedere l’album pubblicato su internet:
http://www.neleman.com/site/book/chicas/chicas.html
Un’intervista con Neleman si trova (in inglese) qui:
http://www.3ammagazine.com/artarchives/2004/
jun/interview hans neleman.html

Sunday, March 26, 2006

L'assassino chiede perdono

The New Herald di Miami ha pubblicato il 24 marzo scorso, nell’anniversario della morte di monsignor Romero, un’intervista con uno degli autori materiali dell’assassinio, Álvaro Saravia, ex capitano delle Forze armate del Salvador.
Saravia è, ovviamente, un uomo libero, anche se ha dovuto acquisire una nuova identità ed attualmente non si sa in quale Paese dell’America Latina stia vivendo. È pronto a parlare, dice, e a rivelare finalmente i veri mandanti dell’assassinio politico, tutta gente ammette “che sta vivendo liberamente senza rimorsi”.
Saravia ha oggi 60 anni ed ha fatto parte del commando che ha ucciso Romero. Il processo ha dimostrato le sue responsabilità, così come quelle di Roberto d’Aubuisson e Amado Antonio Garay. La legge d’amnistia lo ha però perdonato e ad oggi nessuna corte lo ha richiamato ad una udienza.
Un giorno parlerò e dirò tutto” ha detto al giornale conservatore di Miami.
Voglio essere perdonato, per cui dirò tutta la verità con le conseguenze che ne verranno”.
Continua: “Vorrei che si prendesse in conto che eravamo in un periodo di guerra. Forse le nostre azioni non erano chiare, però credevamo fedelmente in quello che facevamo ed in lui (monsignor Romero) vedevamo la faccia del nemico”.
Ci sono molte persone influenti che sono coinvolte in questo crimine che ancora oggi non sono state segnalate”.
L’articolo completo si trova qui:
http://www.miami.com/mld/elnuevo/14172728.htm

Saturday, March 25, 2006

C'è terrorista e terrorista

Luis Posada Carriles è un terrorista. Un terrorista, però, che sta dal lato giusto degli schieramenti. Forse è per questo che gli Stati Uniti continuano a tenerlo sotto la propria tutela quando il Venezuela –paese dove deve completare una lunga condanna- ha chiesto da mesi l’estradizione. In tempi normali il procedimento sarebbe dovuto durare al massimo una sessantina di giorni. La situazione di Posada Carriles è invece ferma da quando è stato arrestato dalle autorità di migrazione statunitensi, nel maggio dello scorso anno. Inflessibili quando si tratta di poveri peones messicani da rispedire alla miseria, i federali in questo caso non hanno nemmeno presentato l’incartamento al giudice.
Insomma, Posada Carriles è in realtà un ospite delle autorità statunitensi. Attempato dagli anni (ne ha già 78), non ha mai nascosto le sue responsabilità sugli attentati che hanno sempre avuto come obiettivo Cuba e i suoi interessi all’estero. Nel 1976 ha causato la morte dei 73 passeggeri che volavano da L’Avana a Caracas su un aereo di Cubana de Aviación. La bomba che aveva messo su una valigia non ha lasciato scampo a nessuno. C’è la mano di Posada Carriles anche nella stagione delle bombe che nel 1997 provocò la morte di Fabio Di Celmo, il giovane italiano che si trovava nella hall del Copacabana dell’Avana (fatto per cui le autorità italiane non si sono mai interessate a trovare un colpevole).

Bombe sugli aerei, negli hotel, nei ristoranti: Posada Carriles è a tutti gli effetti un terrorista, ma di quelli che piacciono a Bush. La comunità cubana di Miami, per aiutarlo, ha recentemente organizzato un’asta dove le opere pittoriche del killer artista sono state vendute a suon di dollaroni. Già, perchè a differenza dei disgraziati di Guantánamo, Posada Carriles, il terrorista buono, riceve il suo premio con lezioni di pittura e l’appoggio incondizionato di tanti amici.

Friday, March 24, 2006

A 30 anni dal golpe

Il numero è rotondo. Oggi si compiono trenta anni dal golpe in Argentina. Dalle undici di sera fino alle tre e mezza della mattina, a Buenos Aires, nella piazza dell’Obelisco sono state proiettate le foto di 3600 dei trentamila desaparecidos che ha fatto la dittatura: un documento che ha fatto accaponare la pelle.
Concerti, veglie, spettacoli, dibattiti si susseguono in questi giorni nello sforzo –riuscito- che l’epoca buia della storia recente argentina non venga dimenticata. Tra i tanti comitati spontanei, l’organizzazione Hijos si è battuta in tutti questi anni perchè la legge del perdono venga annullata ed i militari che furono complici della dittatura paghino le conseguenze dei loro atti di terrore. Solo con il governo di Kirchner qualcosa si è mosso, ed ora sono avviati diversi procedimenti giudiziari contro i responsabili delle mattanze di quei giorni. La ministra della Difesa, Nilda Garré, ha dato via libera l’altro ieri perchè tutti i documenti delle Forze Armate riguardanti il periodo della dittatura (1976-1983) siano finalmente resi pubblici per stabilire infine la sorte dei migliaia di desaparecidos.
La società argentina è comunque ben lungi dall’essere stretta attorno al ripudio del fascismo. Solo una settimana fa, Sonia Torres, la responsabile delle madri di Plaza de Mayo a Córdoba è stata aggredita e picchiata da appartenenti del gruppo 24 Marzo. Pubblichiamo qui la foto di come è stata ridotta Sonia. La dittatura continua ad essere una ferita; ragione hanno i ragazzi di Hijos nel loro motto: “Non dimenticare, non perdonare, non riappacificarsi”. Chi ha commesso quei delitti, insomma, paghi.
http://www.hijos.nl/es/index.html

Thursday, March 23, 2006

L'acqua non è di tutti

Come c’era da aspettarsi l’acqua non è stata dichiarata un diritto sacrosanto dell’uomo. Le conclusioni del vertice di Città del Messico hanno infine fatto gli interessi del mercato a scapito dei diritti di tutti noi. Nel documento finale si parla piuttosto generalmente dell’acqua come “garanzia di vita per il genere umano”, ma non della libertà di procurasela. Le conclusioni non hanno nemmeno preso in considerazione le proposte dei gruppi ambientalisti, che si erano battuti per una esplicita presa di posizione delle entità governative.
Da segnalare il rifiuto dei governi di Venezuela, Cuba, Uruguay e Bolivia di firmare il documento. I delegati di queste nazioni hanno infatti insistito perchè venisse riconosciuto il diritto all’acqua come diritto inalienabile dell’uomo. Di fatto, le conclusioni liberano i governi dall’intervenire obbligatoriamente a fornire di acqua le comunità che ne sono prive. Resterà quindi a discrezione di ciascuno decidere se, come e quando (il che significa l’intervento dell’impresa privata) provvedere al rifornimento di acqua.
Il documento, inoltre, lascia via libera all’inclusione dell’acqua nei trattati di libero commercio, facendola diventare a tutti gli effetti una merce di scambio.
Il prossimo appuntamento a non decidere nulla sarà nel 2009 in Turchia.
Qui, la raccolta delle varie relazioni stilate durante il Foro:
http://www.worldwaterforum4.org.mx/home/tools.asp?lan=spa

Wednesday, March 22, 2006

Ecuador in rivolta

Le marce contro i trattati di libero commercio con gli Usa si moltiplicano in tutta l’America Latina. Dopo gli scontri dei giorni scorsi a San Salvador, in Ecuador è in atto una vera e propria rivolta che mantiene quasi isolata la capitale Quito e le maggiori città. Le strade principali sono bloccate da centinaia di manifestanti, in maggioranza indigeni. Lontano dall’andare a negoziati, il governo di Palacio ha identificato una decina di ONG come le responsabili dei disordini, dettando prigione preventiva per tre cittadini spagnoli di origine basca. Alimenti e benzina mancano intanto in quasi tutte le parti del Paese; pane, carne ed altri generi di prima necessità si vendono a prezzi esorbitanti. Come già nei giorni scorsi per lo sciopero dei lavoratori del settore degli idrocarburi, il governo ha decretato lo stato di emergenza in diverse province.
L’organizzazione della protesta è a carico del Conaie, il comitato che raccoglie i popoli indigeni dell’Ecuador.
http://conaie.org/?q

Tuesday, March 21, 2006

You´re a donkey, mister Danger

Hugo Chávez questa volta ha dato fondo alle sue doti istrioniche per intrattenere il pubblico di “Aló presidente”, il programma che lo vede come mattatore unico ogni domenica. Il suo bersaglio, naturalmente, George Bush. Vestito della consueta camicia rossa, Chávez ha insultato il presidente degli Stati Uniti all’indomani delle dichiarazioni di questi sul terzo anniversario della guerra in Iraq.
Mister Danger, lascia che te lo dica: sei un somaro” ha iniziato Chávez.
Anzi, te lo dico nel mio pessimo inglese: you’re a donkey”. È stato solo l’inizio di una serie di epiteti ritrasmessi poi abbondantemente da tutte le televisioni del continente americano. In una escalation di insulti, Chávez ha chiamato Bush prima genocida e quindi, alcolista, ubriacone, codardo, assassino.
La maggiore disgrazia di questo mondo è possedere un essere immorale come Bush” ha continuato, spiegando agli spettatori come poi il presidente Usa non sia altro che una persona psicologicamente disturbata.
Se qualcuno si aspettava segnali di distensione nella crisi tra Venezuela ed Usa, eccolo accontentato. Il sito della trasmissione:
http://www.alopresidente.gob.ve/

Monday, March 20, 2006

La ribellione delle madri

Le madri di Plaza de Mayo hanno presentato il libro “La rebelión de las Madres”, storia del movimento sorto nel 1983 in opposizione e denuncia della dittatura argentina.
Venerdì prossimo ricorrono i 30 anni dal golpe del 1976, che instaurò una dittatura che durò sette anni durante la quale sparirono trentamila persone. Nel clima della ricorrenza è già partito il mea culpa dei militari allora coinvolti: Ricardo Bendini, l’attuale capo delle forze armate ha effettuato una dura autocritica riconoscendo che, allora, “si instaurò un ingiustificato sistema repressivo” (parole sue).
Hebe Bonafini, durante la presentazione del libro, è stata enfatica nel censurare le dichiarazioni dei militari.
Non esiste nessun pentimento. Quella gente è bugiarda per natura” ha detto alla stampa durante la presentazione del libro, scritto da Ulises Gorini. In questi giorni di anniversario è però un’altra pubblicazione ad essersi assicurata l’attenzione dei media. Si tratta del volume “Doble juego. La Argentina católica y militar”, scritto da Horacio Verbitsky che, attingendo dai documenti segreti della Chiesa cattolica, documenta come le più alte gerarchie religiose fossero al corrente delle sparizioni attuate dalla dittatura. Oltre al cardinale Bergoglio, Verbitsky chiama in causa il nunzio Pio Laghi e il segretario vicariale Emilio Graselli, invitati a partecipare al programma di rieducazione dei prigionieri dell’Esma. Dittatura e chiesa cattolica, insomma, andavano a braccetto.
La pagina web delle Madri di plaza de Mayo:
http://www.madres.org/

Saturday, March 18, 2006

Il futuro dell'acqua

A Città del Messico si sta discutendo sul futuro dell’acqua. Come ogni risorsa, anche l’acqua è ormai caduta nel giogo del consumo e della logica imprenditoriale. La scommessa delle multinazionali del settore è quella di privatizzare il servizio, iniziando proprio dalle zone più a rischio. Lontani dall’avere un’etica che ne regoli il comportamento, queste aziende decideranno insomma chi potrà avere accesso all’acqua e chi no (la Nestlé possiede già oggi più di 260 marche di acqua in tutto il mondo).
Alcuni dati che è bene ricordare:
ogni otto secondi muore un bambino nel mondo per mancanza di agua potabile;
in Europa il consumo medio giornaliero di una persona è di 300 litri di acqua;
a Lima, capitale del Perù, nei pueblos nuevos ci si lava con un litro di acqua raccolta in una bottiglia plastica;
sono 1400 milioni le persone che non hanno accesso all’acqua potabile;
l’80% delle malattie sorgono per mancanza di acqua;
un litro di acqua Perrier in Europa costa più di mille litri d’acqua del rubinetto;
L’acqua è un affare. Lo sanno bene le multinazionali del settore che insistono nel fare dell’acqua un bene per il quale nel futuro bisognerà sempre pagare. Questo significa che le multinazionali stanno lavorando per il controllo di tutte le falde e sorgenti acquifere (in archivio del nostro blog, 14 novembre 2005: “Il controllo delle acque”).
Qui il sito del forum mondiale sull’acqua in corso a Città del Messico.
http://www.worldwaterforum4.org.mx/home/home.asp?lan=spa
Maude Barlow, invece, ha scritto un interessante libro, intitolato “Blue Gold” sugli affari delle multinazionali dell’acqua. Qui un’intervista con l’autrice (è in inglese):
http://www.motherjones.com/news/qa/2005/01/maude_barlow.html
Nel catalogo Frilli: “Qualcuno vuole darcela a bere”, di Giuseppe Altamore:
http://www.frillieditori.com/books/recequalcunobere.htm

Friday, March 17, 2006

Anche Il Messico guarda a sinistra

Svolta a sinistra anche in Messico? Nell’ultimo sondaggio del quotidiano “La Reforma”, López Obrador, candidato del PRD (Partido de la Revolución Democrática) risulta in testa alle intenzioni di voto, con dieci punti percentuale di vantaggio su Felipe Calderón del PAN.
López Obrador è da mesi in testa ai sondaggi. 53 anni, ex sindaco di Città del Messico, conosciuto come politico dai modi austeri, il candidato della sinistra si sta trasformando da un semplice spauracchio ad un vero e proprio incubo per i partiti di governo. L’ultimo attacco è venuto dall’ex presidente Salinas de Gortari, che ha parlato di rischio per la democrazia nel caso di una vittoria del PRD. “I nuovi caudillos minacciano la democrazia” ha dichiarato Salinas mentre parlava al Mit del Massachussetts. Di quale democrazia stiamo parlando? Salinas è il bieco personaggio che ha distribuito gli attivi del Messico alla sua corte di amici, lasciando il Paese sul bordo del collasso.
A spaventare sarebbero invece le riforme che López Obrador attuerebbe, che interesserebbero infine le politiche sociali da anni lasciate nel dimenticatoio.
Nell’ordine, a López Obrador va il 40% delle preferenze espresse nel sondaggio de “La Reforma”, a Calderón il 31% ed a Madrazo, candidato del PRI, solo il 25%. Questi i siti ufficiali dei tre principali candidati alla presidenza del Messico:
http://www.amlo.org.mx/
http://www.mexicoconmadrazo.org/
http://www.felipe-calderon.org/fc/html/index.htm

Thursday, March 16, 2006

Il cattivo vicino

Bantz Craddock non ha peli sulla lingua. Generale di corpo d’armata, responsabile del Comando Sud che veglia sull’integrità dell’America Latina, ha riferito al Senato Usa quanto segue: “Quando esistono influenze esterne destabilizzanti e caotiche diventa difficile conseguire i benefici della democrazia”. Qualcuno può pensare che un generale che parli così sia diventato pazzo, in quanto viene subito da pensare ad un commento sulla presenza Usa in Iraq. Ma tranquilli, Craddock non si riferisce all’ingerenza statunitense, ma bensì a quella del Venezuela che starebbe influendo sui processi elettorali in America Latina. L’agenda è ricca: Perú (9 aprile), Colombia (28 maggio), Messico (2 luglio), Brasile (1 ottobre), Ecuador (ottobre), Nicaragua (5 novembre), Venezuela (dicembre).
Craddock getta legna sul fuoco che hanno già acceso Rumsfeld, la Rice e Negroponte il passato mese. Il Venezuela è un cattivo vicino per le nazioni latinoamericane e gli Stati Uniti devono fare tutto il possibile per fermarlo. Insomma, guai in vista. A proposito: Craddock parlava al Senato per difendere il preventivo militare per l’anno 2007. In questi casi, si sa, è sempre bene trovare un cattivo.

Wednesday, March 15, 2006

La dignità del generale

Lo scrittore argentino Tomás Eloy Martínez è stato assolto dall’accusa di calunnia. A denunciarlo era stato l’ex generale Antonio Domingo Bussi, uno dei tanti sgherri della dittatura argentina. Il militare (che è agli arresti domiciliari per violazione dei diritti umani) si era sentito offeso da un articolo di Eloy Martínez apparso su “La Nación”. Qui, lo scrittore lo aveva tacciato di “tiranno” e “sterminatore di dissidenti”.
Bussi, per essere stato un generale della dittatura, sembrerebbe essere pervaso da nobili sentimenti, vista la reazione ad essere stato chiamato tiranno.
Quello che però ha fatto infuriare Bussi non è stato l’epiteto di tiranno, ma l’articolo di Eloy Martínez che narra un episodio dimenticato della dittatura. Nel 1977 Bussi era governatore militare della provincia di Tucumán. Nel luglio di quell’anno, l’imminente visita del dittatore Jorge Rafael Videla lo aveva messo nella condizione di dimostrare le sue capacità di uomo d’ordine. Aveva un problema, però, Bussi: l’alto numero di mendicanti di Tucumán, città che non offriva impiego ma disoccupazione e povertà. Il generale ebbe così il colpo di genio. Istruiti i suoi sottoposti, ordinò loro di fermare tutti i poveracci della città e di spedirli nel deserto. Della carovana di disperati è stato trovato un documento nel giornale diocesano “La Unión de Catamarca”: “Mendicanti, handicappati, ciechi, tisici e malati mentali sono stati abbandonati alla propria sorte lungo la strada 67...”.
Terminata la visita Bussi ricevette il rimprovero del suo collega di Catamarca, che si lamentava che la sua provincia stesse diventando un deposito di rifiuti umani. Il generale rispose di non preoccuparsi, che si trattava “in maggior parte di profughi cronici dei centri assistenziali”. Era solo questione di tempo. Infatti, i poveretti, decimati dalle intemperie, dalle malattie e, soprattutto, dalla fame, perirono nel deserto senza che si muovesse un dito per salvarli.
Bussi, quindi, non è incazzato per essere stato chiamato tiranno, ma per essere stato chiamato a rispondere delle sue responsabilità.
Il racconto completo di Eloy Martínez:
http://www.guiacultural.com/
guia_regional/regional/argentina/la_ley_y_la_justicia.htm

Monday, March 13, 2006

Se scrivete, vi ammazziamo

Un mese fa (il 9 febbraio) avevamo parlato di Nueva Laredo, la città del Messico dove la redazione del quotidiano El Mañana era stata fatta oggetto di un attentato. La colpa dei giornalisti era stata quella di promuovere un seminario per preparare la stampa contro le infiltrazioni del narcotraffico. I cartelli non avevano gradito ed avevano quindi inviato un messaggio chiaro, a suon di mitra e bombe.
La caccia alla stampa continua. Ieri è stato ucciso il giornalista Ramiro Téllez, 42 anni, mentre rincasava. Giovedì, a Michoacán era toccato a Jaime Olvera Bravo, 38 anni, a cadere sotto le armi dei sicari mentre accompagnava il figlioletto all’asilo.
A Nueva Laredo è in atto una spietata offensiva del narcotraffico, che in settimana ha ucciso anche due poliziotti: in totale, durante quest’anno, sono stati commessi 46 omicidi. Il clima di intimidazione è tale che, durante l’amministrazione del presidente Fox, sono stati ventuno i giornalisti ammazzati in Messico in agguati. Un record, per un paese che non è coinvolto in un conflitto attivo.

I giornalisti ed i mezzi di comunicazione del Messico hanno rilasciato un manifesto, intitolato “No a la violencia, no al silencio” dove chiedono che finalmente le autorità competenti velino per i diritti più fondamentali delle libertà civili.
L’impatto di questa violenza contro i giornalisti” si legge nel manifesto “si esprime in un clima di intimidazione che zittisce le voci, mutila la società dei suoi meccanismi di convivenza ed impone una morte lenta alla stessa libertà”. (
http://www.impunidad.com/pressreleases/noticias_spanish_febrero_2_2006.htm)
Per combattere l'impunità, i giornalisti messicani hanno inaugurato il Proyecto Fénix, un equipe di reporter che seguirà i casi dei colleghi uccisi per accertare le cause e i responsabili delle loro morti.

Sunday, March 12, 2006

Donne in prima linea

Michelle Bachelet è da ieri presidente del Cile. Una data storica per un avvenimento –un punto di partenza per la condizione femminile- che viene visto con molta attesa da più settori in America Latina. La Bachelet, 54 anni, socialista, medico, figlia di un generale del gabinetto di Allende, torturato ed ucciso in carcere dagli sgherri di Pinochet, conta con attuare in Cile un ambizioso piano di riforme sociali. Ha scelto 20 ministri, seguendo la regola delle pari opportunità: dieci donne e dieci uomini.
Di seguito, vari link che si occupano dei diritti della donna in America Latina:
http://www.radiofeminista.net/
http://www.mujereshoy.com/secciones/portada.shtml
http://www.movimientos.org/mujerafro/ (portale delle donne afroamericane)
http://www.mujeresporlapaz.org/organisa.htm (sito delle donne colombiane per la pace)
http://www.redmujeres.org/principal.htm (informazione per le donne latinoamericane)
http://www.feim.org.ar/ (fondazione per lo studio e la ricerca della donna argentina)
http://www.cladem.org/espanol/ (comitato per la difesa dei diritti della donna latinoamericana)
http://www.funmujer.org/redes.htm (ong colombiana per i diritti della donna)
http://www.whrnet.org/es/ (associazione per i diritti della donna)

Saturday, March 11, 2006

La Rice dalla Bachelet in cerca di consenso

Michelle Bachelet è da oggi, ufficialmente, il nuovo presidente del Cile. L’attenzione dei media è però rivolta alla presenza di Condoleeza Rice che, dopo le sparate dei giorni scorsi cercherà di correre ai ripari. Il tentativo di creare un fronte anti-Venezuela è andato miseramente a vuoto e, probabilmente, solo grazie a questo fatto gli Usa si sono resi conto dell’impopolarità delle proprie politiche in America Latina. Una Rice più moderata cercherà di proporre a Santiago l’immagine degli Stati Uniti buoni vicini, che velano per la sicurezza e la stabilità dell’intero continente. Chi se la beve? Staremo a vedere. Confermato il colloquio con la stessa Bachelet ed il presidente uruguayano Tabaré Vázquez, la Rice probabilmente si vedrà anche con i demoni in persona, ossia Hugo Chávez ed Evo Morales. Proprio quest’ultimo è sotto i riflettori della stampa locale, visto che le relazioni diplomatiche tra Cile e Bolivia sono sospese da più di un trentennio.
I governanti dell’America Latina, insomma, tessono le loro relazioni a dispetto di colori della pelle e tendenze politiche. La Rice, inutile dirlo, lì in mezzo stona e probabilmente lo sa, visto che avrà il ruolo della maestra che cercherà di riportare sulla retta via una scolaresca che gli è scappata dalle mani. I suoi toni, ovviamente, sono distensivi: “La presidenza della Bachelet è uno dei momenti belli della Storia” ha dichiarato. Almeno in questo, ha ragione.

Friday, March 10, 2006

Quel riccone di Carlos Slim

La rivista "Forbes" ha pubblicato ieri la lista dei 793 ultramilionari, la ristretta elite degli uomini più ricchi del mondo. Nemmeno a dirlo la classifica è capeggiata da Bill Gates, seguito da Warren Buffet entrambi statunitensi. Al terzo posto c’è Carlos Slim, messicano di 66 anni, che solo quest’anno è riuscito ad aumentare la sua fortuna di 6 bilioni di dollari. Il nome, probabilmente, non dice molto in Europa, ma Slim è il tipico prodotto delle politiche neoliberiste in America Latina. Nato nel 1940, figlio di immigrati libanesi, Slim inizia ad interessarsi di affari stando dietro il bancone del negozio del padre, la Stella d’Oriente. Dopo essersi laureato usa il capitale del padre (nel frattempo morto) e lo investe nell’edilizia, settore che in tutte le parti del mondo rende soldoni. Diversificare è la sua parola d’ordine: dall’edilizia passa al tabacco, quindi alla ristorazione. Alla fine degli anni Ottanta può già disporre di un discreto patrimonio, ma è il presidente Salinas de Gortari ad offrirgli la gallina dalle uova d’oro. Salinas più che un presidente si comporta come un bottegaio che si mette il grembiule, tira su la serranda del negozio (il Messico) e mette in vendita tutto ciò che è possibile. A Slim tocca il pezzo più pregiato: la Telmex, la compagnia statale che controlla l’intero mercato delle telecomunicazioni. Slim trova il denaro e la compra per 1760 milioni di dollari, la cui provenienza non è mai stata chiarita, proiettandola come un colosso che in pochi anni fattura più della British Telecom. Oltre che in Messico (dove controlla il 90% del mercato) imperversa, con il nome di América Móvil, in mezza America Latina e negli Usa. In mancanza di concorrenza, Slim si può dare il lusso di fare pagare ai messicani tariffe che sono tra le più alte del mondo (in media una chiamata costa il doppio che negli Usa) e che gli rendono tanti soldi da potersi comperare il più importante pacchetto di azioni della Philip Morris.
Con 30 bilioni di dollari a disposizione, Slim oggi se la tira da filosofo: “È ora di pensare ad un modello di sviluppo che produca impiego e crescita sociale”. Detto da uno come lui che ha fatto la fortuna con il liberalismo più sfrenato suona a una presa in giro.
Leggete la classifica di Forbes qui (l’amato Silvio è “solo” trentasettesimo ma è sì l’uomo più ricco d’Italia: 11 bilioni di dollari per lui):
http://www.forbes.com/lists/2006/10/Worth_1.html

Thursday, March 09, 2006

Non toccate il petrolio

Guai a mettersi contro il petrolio. Il governo di Alfredo Palacio, il presidente ecuadoriano, ha decretato lo stato di emergenza nelle tre province amazzoniche di Napo, Sucumbíos y Orellana. La causa: l’agitazione dei lavoratori del settore petrolifero. Nelle tre province citate, infatti, operano i pozzi della statale Petroecuador, che produce in questa zona giornalmente almeno 18.000 barili. Il governo, decretando lo stato di emergenza delega di fatto l’ordine pubblico all’esercito. Questo significa che le infrazioni commesse dai civili saranno sanzionate da un tribunale militare.
Perchè scioperano i lavoratori? Innanzi tutto perchè lo Stato deve loro 50 milioni di dollari di stipendi arretrati e poi perchè, essendo la maggioranza assunta temporalmente, chiede un contratto formale. Diritti sacrosanti. I lavoratori non ricevono un salario da quattro mesi eppure lo Stato li obbliga a lavorare, sotto la minaccia dell’esercito.
Il presidente Palacio, un medico di 67 anni, famoso per aver fatto la campagna elettorale con il camice da chirurgo, aveva detto che avrebbe governato per aiutare le parti più deboli della società ecuadoriana. Difficile da crederlo.
L’economia ecuadoriana sta cadendo a pezzi ed ha bisogno assoluto del petrolio, che rappresenta la voce principale dell’esportazione. D’altro canto, il governo non ha i soldi per pagare i lavoratori dei campi petroliferi. La privatizzazione è sempre dietro l’angolo, ma fa paura per le ripercussioni sociali che potrebbe generare. La quadratura del cerchio è il ritorno alla coercizione: sotto la minaccia delle armi, in fondo, sono state costruite addirittura le Piramidi.

Wednesday, March 08, 2006

8 marzo





Donne in Perú. Le foto sono di Lillo Rizzo. La poesia che segue, invece, è della scrittrice e poetessa nicaraguense Gioconda Belli: "Y Dios me hizo mujer" e Dio mi ha fatto donna.

Y DIOS ME HIZO MUJER
Y Dios me hizo mujer,
de pelo largo,ojos, nariz y boca de mujer.
Con curvas y pliegues
y suaves hondonadas
y me cavó por dentro,
me hizo un taller de seres humanos.
Tejió delicadamente mis nervios
y balanceó con cuidado
el número de mis hormonas.
Compuso mi sangre
y me inyectó con ella
para que irrigara
todo mi cuerpo;
nacieron así las ideas,
los sueños,
el instinto.
Todo lo creó suavemente
a martillazos de soplidos
y taladrazos de amor,
las mil y una cosas que me hacen mujer todos los días
por las que me levanto orgullosa
todas las mañanas
y bendigo mi sexo.

Tuesday, March 07, 2006

La Bolivia va al referendum sull'autonomia

Ieri avevamo solo sfiorato il tema dei referendum che attendono la Bolivia a luglio. Sono due: il primo chiede l’istituzione di un’Assemblea costituente, la seconda in 180 anni di storia del paese; l’altro risponde alle esigenze della regione di Santa Cruz, che da tempo sta chiedendo maggiore autonomia.
Santa Cruz è la città più ricca della Bolivia. In netto contrasto con La Paz, qui l’oligarchia bianca ha ben radicati i suoi interessi. Solo l’anno scorso di questi tempi una folla di 250.000 persone –guardate la foto- minacciava di passare alle vie di fatto, dimostrando come fosse grande la frattura tra le forze sociali boliviane. Santa Cruz vuole l’autonomia per poter disporre delle proprie ricchezze naturali come meglio gli pare, e Morales al momento ha dimostrato di soddisfare il desiderio di tutti i boliviani accettando il referendum. Non è poco, di questi tempi. Bisogna ora vedere come il presidente gestirà politicamente la questione. I potenti della ricca Santa Cruz (tanto per avere un’idea la regione è più grande dell’Italia di quasi 70.000 chilometri quadrati) sanno quello che fanno. Da soli producono più del resto della Bolivia e per questa ragione vogliono disfarsi della burocrazia capitalina. In gioco sono poi soprattutto i diritti sulla terra: il governo vuole rispettare la precedenza dei popoli indigeni, mentre l’imprenditoria locale vorrebbe accaparrarsi i terreni che, come abbiamo detto, sono ricchissimi di gas naturale, petrolio, oro e argento. Dietro il progetto dell’autonomia c’è la mano lunga del governatore Rubén Costas, espressione della Federación de Empresarios Privados. Insomma, ci siamo: il capitale si affronta a Evo Morales. Tema serio quello dell’autonomia, quindi. Così serio da rappresentare ora il primo vero importante appuntamento di politica interna per il governo di Morales.
Che altro aspetta Evo Morales ce lo dice Gabriella Saba in questo articolo:
http://www.2americhe.com/bolivia/evo%20contro%20evo/oltremaglione.htm

Monday, March 06, 2006

L'America Latina che vuole cambiare

Il 2006 è un anno vitale per l’America Latina. Ci sono state e ci saranno elezioni in quasi tutti i paesi e, piano piano, si sta disegnando una nuova mappa degli equilibri nel continente. Gli elettori stanno premiando la sinistra, sia quella moderata della Bachelet che quella più estrema di Morales. Novità potrebbero esserci anche in Colombia dove Uribe ha perso undici punti nelle intenzioni di voto (ora si aggira sul 53%), ed in Perú, dove la Flores deve fare i conti con il ritorno di Humala e García. In Nicaragua, si profila per novembre una possibile vittoria di Ortega, mentre in Ecuador rispunta l’ex colonnello Lucio Rodríguez. È il ritorno del populismo, come dice la destra?
Più sensatamente, bisogna dare fiducia agli esperimenti. Morales in Bolivia è alla vigilia di importanti decisioni che, probabilmente, eviteranno al suo Paese di cadere nel disordine. La formazione di un’Assemblea costituente ed una riforma sulle autonomie regionali saranno i temi su cui i boliviani saranno chiamati alle urne nel referendum del prossimo 2 luglio. Sono decisioni che tutti i settori della Bolivia chiedevano da tempo, ma che nessun presidente era riuscito o aveva voluto affrontare. Questo è già un punto a favore di Morales.
I cambiamenti spaventano Washington, che sta ormai usando toni da baruffa di cortile non solo con il Venezuela, ma anche con la Bolivia, il Nicaragua e con tutti quelli che si presentino come una minaccia per i loro affari. Inaspettatamente, però, i mercati hanno reagito bene. Le grandi imprese, quelle che apportano il capitale in America Latina, non sembrano allarmate. Di fatto, il clima per gli affari è ritenuto ottimale e per questo quello degli Usa appare solo come uno dei tanti isterismi dell’amministrazione Bush. Diamo fiducia alle nuove politiche. Il cammino per un’America Latina diversa deve passare per la responsabilità ed il rispetto e solo questi governi sembra abbiano la capacità per dimostrarlo.

Sunday, March 05, 2006

L'Amazzonia, bottino politico

Lula da Sulva ha approvato venerdì una polemica legge che dà il via libera alla distruzione di 13 milioni di ettari della foresta amazzonica. La versione del governo è quella che si tratta di un programma di controllo, che tenta di arginare lo sfruttamento del polmone verde d’America. Il governo brasiliano rilascerà concessioni che vanno dai 5 ai 40 anni ad imprese che presentino progetti che abbiano relazione con la protezione dell’ambiente, incluso quelle che lavorano con il legname, sempre che abbiano pronto un piano di riforestazione. La misura è stata lodata –forse troppo precipitosamente, dico io- da Greenpeace. Si apre, di fatto, la strada al turismo che, anche se controllato porta con sè strade, negozi, commercio, pali della luce, telefonini, creme da sole, deodoranti, tampax e via così con le porcherie. L’uomo del nostro tempo non è capace di muoversi come gli antenati e deve portarsi dietro il codazzo di comodità. Pensare che l’Amazzonia possa salvarsi puntando sul turismo controllato è davvero una baggianata.
Il governo brasiliano –dal caro Lula certo ci si aspettava molto di più- praticamente ha calato le brache sull’Amazzonia. La legge suona più ad una ritirata che ad una energica presa di posizione come si vuole far credere. In pratica è tendere su un piatto d’argento 13 milioni di ettari di foresta vergine all’impresa privata, soprattutto di capitale straniero: avete mai visto le grandi aziende comportarsi eticamente? Ma per favore... Qualcuno dice che la visione della ministra per l’Ambiente, Marina Silva, è visionaria ed idealista. Sappiamo che la Silva è una persona retta ma, lasciando da parte l’idealismo, qui siamo di fronte alla più sana ingenuità politica.

Saturday, March 04, 2006

Sul Messico, El Salvador ed Ecuador

Tre giorni senza poter pubblicare per colpa degli stupidi untori di sempre. Ricominciamo rimandandovi ad un paio di approfondimenti cartacei sul Messico, su quanto già abbiamo scritto in questa sede: su Narcomafie di febbraio c’è l’analisi sul muro alla frontiera tra Usa e la parte sud del continente americano (http://www.narcomafie.it/articoli_2006/art4_2_2006.htm). Su Diario di questa settimana, invece, la incredibile conclusione del Procuratore Generale del Messico, secondo il quale a Ciudad Juárez le uccisioni delle ragazze sarebbero normale amministrazione. Sempre sullo stesso numero di Diario, la collega Gabriella Saba parla di Medellín (www.diario.it).
Intanto dalle nostre parti l’entusiasmo per il Cafta dimostrato dal presidente salvadoregno Saca non è ricambiato dai suoi connazionali. Oggi la polizia ha sparato a San Salvador (con proiettili di gomma, per fortuna hanno avuto un poco di considerazione) sulla folla che manifestava contro il trattato. Giornali e televisioni hanno praticamente taciuto l’accaduto, brutto segno.
In Ecuador, invece, Lucio Gutiérrez, l’ex presidente, è stato liberato dopo 140 giorni di prigione. Il tribunale ha ritenuto prive di fondamento le accuse contro di lui. Ad ottobre ci saranno le elezioni e l’ex colonnello ci riproverà.