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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Sunday, June 25, 2006

Messico al voto tra novità e tradizione

Finita l’ubriacatura mondiale, il Messico mette da parte il calcio per buttarsi nella politica. Le elezioni presidenziali sono dietro la porta, il 2 luglio, e l’ultima settimana di comizi diventa cruciale. Tre i candidati divisi da una manciata di punti percentuale: López Obrador, della sinistra; Madrazo del PRI e Calderón del PAN di governo.
Tre candidati per tre maniere distinte di vedere e vivere il Messico, che si caratterizzano anche per regioni e ragioni geografiche. Il nord benestante e religioso, dove i caudillos comprano con promesse e minacce i voti della maggioranza povera e sfruttata, appoggia la candidatura di Felipe Calderón (
http://www.pan.org.mx/), che garantirebbe la continuità di altri sei anni all’insegna del PAN. Il Messico non è cresciuto durante l’amministrazione Fox, si è indebolito internazionalmente e non ha promosso nessuna politica di riscatto, che sia sociale o economica. Ciò nonostante, ha assicurato la crescita dei capitali già consolidati e la protezione delle politiche neo liberali, che sono poi quelle che permettono di vincere elezioni e scranni al Congresso. Calderón, un avvocato 44enne, lo dice chiaramente nei suoi spot di televisione di volere difendere il Messico dei valori: un ritornello che ricorre nella destra europea e latinoamericana, ma che non apporta nulla di nuovo.
López Obrador,
http://www.lopez-obrador.com.mx/ ex sindaco di Città del Messico, è ancora in vantaggio nei sondaggi. 53 anni, candidato progressista piace ai circoli illuminati capitalini ed anche nelle zone rurali: la speranza è che possa dare avvio a politiche sociali che possano almeno arginare la povertà. Sono almeno 50 milioni, la metà della popolazione, i messicani poveri, una nazione nella nazione che reclama pane e diritti.
Il PRI, che presenta Roberto Madrazo (
http://www.pri.org.mx/estadetulado/index.html), è di nuovo allo sbando. Il partito che ha governato il Messico come una “dittatura democratica” per settanta anni è ancora diviso. Ciò nonostante, può ancora contare con una discreta macchina organizzativa che tratta il voto nella maniera tradizionale, ossia come merce di scambio. Mai come negli ultimi tempi il voto vale in America Latina. Per questo fa paura ai gruppi di potere, che fino a pochi anni fa potevano controllare l’elettorato con il minimo sforzo. L’avvento di candidati di rottura (da Chávez a Lula, da Vázquez a Humala, e ancora Morales e López Obrador) ha mutato la relazione cittadino-governante. La maggioranza sfruttata e dimenticata (almeno fino al momento del voto) sta scoprendo di poter fare valere la propria volontà attraverso una piccola croce su una scheda. Prossima conferma, il Messico appunto.

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