Referendum? Quale referendum?
Referendum? Chi ne ha sentito parlare? Il presidente Napolitano ha invitato gli italiani al voto, ma sarebbe interessante sapere quanti di noi all’estero sanno per cosa siamo chiamati alle urne. Facciamo il caso di non avere internet e di non avere accesso a quell’obbròbrio che è Rai International: da qui risulta praticamente impossibile conoscere il perchè del referendum. La spiegazione che appare nella rubrica “Per cosa si vota?” inoltrato dalle ambasciate non soddisfa per niente: “...il cittadino votando SI esprime la volontà di confermare la legge di riforma costituzionale, votando NO intende non confermare la legge già approvata dal Parlamento...”.
Siamo d’accordo che l’informazione è facoltà di ogni individuo, ma dubito che siano in molti tra gli italiani all’estero a conoscere i dettagli della legge di riforma costituzionale.
Con questi presupposti è facile prevedere un fallimento.
Su “Diario”, un pezzo di Laura Forzinetti già due settimane avvisava: “Sono passati solo due mesi dalle politiche e già ovunque... l’elettore viene lasciato solo davanti all’enigma costituzionale da risolvere con un sì o con un no”. Come dicevo, avevamo due settimane di tempo per raddrizzare le cose: non è successo nulla.
E più avanti: “L’inaspettato arrivo delle schede elettorali farà scoprire a molti che c’è un referendum”. Niente di più azzeccato: avreste dovuto vedere la faccia di mia suocera al momento di aprire il plico dell’ambasciata.
Ci siamo, quindi. Abbiamo ottenuto il diritto al voto: ora dobbiamo cavarcela da soli. Prerogativa tutta italiana, d’altronde. Le nostre legazioni spendono soldi in baggianate (migliaia di dollari in residenze da nababbi; pubblicazioni che magnificano l’opera di consolati vetusti ed inefficienti –riviste che, essendo di carta patinata, non servono poi nemmeno per il cesso-; mostre costosissime di artisti amici; per non parlare dei ricevimenti eccetera eccetera eccetera) però i soldini per fare valere i diritti democratici non si trovano.
L’estero, è stato detto, è stato decisivo per le politiche. Sicuramente lo sarà anche per questo referendum.
Siamo d’accordo che l’informazione è facoltà di ogni individuo, ma dubito che siano in molti tra gli italiani all’estero a conoscere i dettagli della legge di riforma costituzionale.
Con questi presupposti è facile prevedere un fallimento.
Su “Diario”, un pezzo di Laura Forzinetti già due settimane avvisava: “Sono passati solo due mesi dalle politiche e già ovunque... l’elettore viene lasciato solo davanti all’enigma costituzionale da risolvere con un sì o con un no”. Come dicevo, avevamo due settimane di tempo per raddrizzare le cose: non è successo nulla.
E più avanti: “L’inaspettato arrivo delle schede elettorali farà scoprire a molti che c’è un referendum”. Niente di più azzeccato: avreste dovuto vedere la faccia di mia suocera al momento di aprire il plico dell’ambasciata.
Ci siamo, quindi. Abbiamo ottenuto il diritto al voto: ora dobbiamo cavarcela da soli. Prerogativa tutta italiana, d’altronde. Le nostre legazioni spendono soldi in baggianate (migliaia di dollari in residenze da nababbi; pubblicazioni che magnificano l’opera di consolati vetusti ed inefficienti –riviste che, essendo di carta patinata, non servono poi nemmeno per il cesso-; mostre costosissime di artisti amici; per non parlare dei ricevimenti eccetera eccetera eccetera) però i soldini per fare valere i diritti democratici non si trovano.
L’estero, è stato detto, è stato decisivo per le politiche. Sicuramente lo sarà anche per questo referendum.
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