Messico: due timonieri, il paese alla deriva
López Obrador non è mai stato un tipo da non mantenere le promesse. Caparbio, ostinato, il leader della sinistra messicana l’aveva detto pochi mesi fa e si è autoproclamato, davanti ad una platea di centinaia di migliaia di persone, presidente eletto del Messico. Un atto che stabilisce, se ce ne fosse stato bisogno, la doppia anima di questo paese che da tempo ha perso non solo il suo ruolo guida all’interno della comunità internazionale latinoamericana, ma anche la propria identità. Dopo la caduta della dittatura democratica del Pri, la gestione di Vicente Fox –nonostante la mediocrità del personaggio- era attesa come un’opportunità unica per una rinascita sociale, culturale ed economica del Messico. La presidenza di Fox è stata invece perfino peggiore di alcune del Pri: la situazione interna è allo sfascio (narcotraffico, corruzione, violenza, istanze sociali si rincorrono dal Río Bravo al Chiapas) ed in materia internazionale il Paese è rimasto schiacchiato tra il peso delle squinternate decisioni degli Usa in era Bush e i cambiamenti politici che hanno trasformato il resto del continente. Gli Usa tirano da una parte, l’America Latina dall’altra ed il Messico è andato a fondo, incapace di schierarsi o di offrire una via propria.
In questo panorama non c’è da sorprendersi se sorge un López Obrador a proclamarsi il presidente legittimo al termine di un processo elettorale marcato dai soliti brogli. Le reazioni internazionali sono state di rifiuto a questa presa di posizione, mentre Calderón ha giudicato l’atto come una prova delle libertà democratiche del Messico. In realtà se Calderón spiega così la trovata di López Obrador c’è da preoccuparsi. Il problema del Messico è proprio questo: ognuno fa quello che gli pare, nessuno vuole prendersi responsabilità e questa non è democrazia, ma anarchia. Il conflitto di Oaxaca ne è una prova: da sei mesi polizia e militari si prendono a sprangate con la gente comune (maestri, impiegati, operai, studenti) ed il governo centrale non è riuscito a trovare una soluzione. Il narcotraffico si è ormai insediato nello Yucatán, ultima frontiera della perdizione; si ammazzano i giornalisti che denunciano (due nell’ultima settimana); la corruzione dilaga a tutti i livelli della società; Oaxaca è in rivolta; il Chiapas continua nell’abbandono; le donne sono volutamente e premeditamente oggetto di violenza; la strada dell’emigrazione è stata sbarrata da un muro e dalla National Guard.
Nessuno risolve i conflitti nel Messico del nuovo secolo. L’economia, almeno, tira ancora un poco. Sufficiente per i signori che muovono le sorti del Paese: finchè si fanno soldi, che il paese vada pure allo sfascio.
In questo panorama non c’è da sorprendersi se sorge un López Obrador a proclamarsi il presidente legittimo al termine di un processo elettorale marcato dai soliti brogli. Le reazioni internazionali sono state di rifiuto a questa presa di posizione, mentre Calderón ha giudicato l’atto come una prova delle libertà democratiche del Messico. In realtà se Calderón spiega così la trovata di López Obrador c’è da preoccuparsi. Il problema del Messico è proprio questo: ognuno fa quello che gli pare, nessuno vuole prendersi responsabilità e questa non è democrazia, ma anarchia. Il conflitto di Oaxaca ne è una prova: da sei mesi polizia e militari si prendono a sprangate con la gente comune (maestri, impiegati, operai, studenti) ed il governo centrale non è riuscito a trovare una soluzione. Il narcotraffico si è ormai insediato nello Yucatán, ultima frontiera della perdizione; si ammazzano i giornalisti che denunciano (due nell’ultima settimana); la corruzione dilaga a tutti i livelli della società; Oaxaca è in rivolta; il Chiapas continua nell’abbandono; le donne sono volutamente e premeditamente oggetto di violenza; la strada dell’emigrazione è stata sbarrata da un muro e dalla National Guard.
Nessuno risolve i conflitti nel Messico del nuovo secolo. L’economia, almeno, tira ancora un poco. Sufficiente per i signori che muovono le sorti del Paese: finchè si fanno soldi, che il paese vada pure allo sfascio.
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