Il paradosso boliviano
Quello che sta accadendo in Bolivia è paradossale. L’oligarchia è in rivolta e chiede al governo centrale gli strumenti legali per poter imboccare la strada della divisione. La classe dirigente bianca e oligarca, che ha sempre represso nel sangue le rivolte provenienti dal basso, si rifiuta di partecipare alla vita politica attiva del Paese e chiede autonomia e, da alcuni settori, la secessione. Le province ribelli sono quattro: Santa Cruz, Tarija, Beni e Pando con un territorio sterminato, grande otto volte l’Italia e ricco di risorse. Sono le regioni dell’oriente, quelle che non vogliono riconoscersi con le popolazioni andine, le stesse che hanno giudicato la presidenza di Morales un affronto ed un’ingerenza insostenibile. Finchè a governare sono state loro, la Bolivia doveva rimanere unita a suon di bastonate e repressione. Ora, che sulla sedia presidenziale c’è un cholo, gridano allo scandalo ed all’autonomia.
Morales le ha tentate tutte. Conscio di avere gli occhi del mondo addosso, ha assunto sinora una posizione ferma ma di dialogo, sforzandosi di mantenere gli avvenimenti, spesso provocatori, nel quadro della legalità.
Ieri, le quattro province hanno convocato le assemblee popolari per dimostrare come la volontà della gente sia quella di spingere per la autonomia. L’ennesima misura di pressione che, invece di “dimostrare il carattere democratico del popolo boliviano” come hanno affermato alcuni dirigenti autonomisti, dimostra chiaramente la volontà di creare disordine in un paese già abbastanza tormentato. Gli effetti non si sono fatti aspettare: l’esasperazione della popolazione indigena, alla quale è stata da tempo promessa una dovuta riforma agraria unita alla provocazione autonomista ha creato una miscela esplosiva.
I feriti ieri sono stati una sessantina negli scontri scoppiati tra le due fazioni e la situazione può degenerare in qualsiasi momento. Morales ha invitato le parti a negoziare, ma è certo che ormai nella Bolivia di oggi quello che si svolge è un dialogo tra sordi.
Morales le ha tentate tutte. Conscio di avere gli occhi del mondo addosso, ha assunto sinora una posizione ferma ma di dialogo, sforzandosi di mantenere gli avvenimenti, spesso provocatori, nel quadro della legalità.
Ieri, le quattro province hanno convocato le assemblee popolari per dimostrare come la volontà della gente sia quella di spingere per la autonomia. L’ennesima misura di pressione che, invece di “dimostrare il carattere democratico del popolo boliviano” come hanno affermato alcuni dirigenti autonomisti, dimostra chiaramente la volontà di creare disordine in un paese già abbastanza tormentato. Gli effetti non si sono fatti aspettare: l’esasperazione della popolazione indigena, alla quale è stata da tempo promessa una dovuta riforma agraria unita alla provocazione autonomista ha creato una miscela esplosiva.
I feriti ieri sono stati una sessantina negli scontri scoppiati tra le due fazioni e la situazione può degenerare in qualsiasi momento. Morales ha invitato le parti a negoziare, ma è certo che ormai nella Bolivia di oggi quello che si svolge è un dialogo tra sordi.
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