Le magre braccia del Natale
Ho ricevuto da Giulio Vittorangeli questa nota sul Natale a Managua. La ripropongo volentieri per tutti voi.
"Cerco di chiedermi quando uno cominci ad abituarsi, quando uno cominci a guardare questo gruppetto di tre bambini. Lei, la più alta, lui, in mezzo e il più piccolo, succhiandosi il dito, mentre gli altri chiedono al padrone del negozio di dolci di regalargli qualcosa. Cerco di chiedermi quand'è che uno già non pensa, già non si spaventa nemmeno nel vedere questa magrezza, i capelli tostati, gli zigomi di un'altra età sui loro visi di pochi anni. In quale momento uno già non pensa e si gira a guardare da un'altra parte e comincia a pensare ad altre cose, a parlare di altro e a scrivere altre cose. Scusatemi se dicembre mi è sempre sembrato il mese più triste, dove per paradosso e nonostante le luci, i rumori e la scarsa tredicesima, la povertà di questo popolo si vede ancora di più in carne viva. Ci sono due Managua, come due Nicaragua, ogni giorno più lontane e pietra su pietra, per ogni centro commerciale per pochi, per ogni attività illegale, per ogni bustarella di corruzione, per ogni zona franca che si apre, questo muro di rumore si eleva sempre più alto. Questa forma costante di povertà che dobbiamo vincere ogni giorno, questa abitudine alla magrezza estrema, questo dicembre di povertà che finisce con il desiderio, ostinatamente ingenuo, che girando l'angolo dell'anno alcune cose cambieranno davvero. Questa rabbia che dà la magrezza di piccole braccia che si allungano verso la vetrina di una negozio di questa strada. Questa rabbia, questa rabbia, che almeno lei non scappi, fuggendo sotto il rumore".
"Cerco di chiedermi quando uno cominci ad abituarsi, quando uno cominci a guardare questo gruppetto di tre bambini. Lei, la più alta, lui, in mezzo e il più piccolo, succhiandosi il dito, mentre gli altri chiedono al padrone del negozio di dolci di regalargli qualcosa. Cerco di chiedermi quand'è che uno già non pensa, già non si spaventa nemmeno nel vedere questa magrezza, i capelli tostati, gli zigomi di un'altra età sui loro visi di pochi anni. In quale momento uno già non pensa e si gira a guardare da un'altra parte e comincia a pensare ad altre cose, a parlare di altro e a scrivere altre cose. Scusatemi se dicembre mi è sempre sembrato il mese più triste, dove per paradosso e nonostante le luci, i rumori e la scarsa tredicesima, la povertà di questo popolo si vede ancora di più in carne viva. Ci sono due Managua, come due Nicaragua, ogni giorno più lontane e pietra su pietra, per ogni centro commerciale per pochi, per ogni attività illegale, per ogni bustarella di corruzione, per ogni zona franca che si apre, questo muro di rumore si eleva sempre più alto. Questa forma costante di povertà che dobbiamo vincere ogni giorno, questa abitudine alla magrezza estrema, questo dicembre di povertà che finisce con il desiderio, ostinatamente ingenuo, che girando l'angolo dell'anno alcune cose cambieranno davvero. Questa rabbia che dà la magrezza di piccole braccia che si allungano verso la vetrina di una negozio di questa strada. Questa rabbia, questa rabbia, che almeno lei non scappi, fuggendo sotto il rumore".
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