Lugo, la Chiesa e la politica
Torniamo sul caso del vescovo paraguayano Fernando Lugo. Venerdì su Diario (www.diario.it) è uscito un mio pezzo sull’argomento, che dà riferimento alla notizia. La nuda nota di cronaca parla di un prelato che decide di lasciare il seno della Chiesa, quella cattolica ufficiale, per coinvolgersi politicamente e tentare la scalata alla presidenza della Repubblica del suo paese, il Paraguay.
La notizia merita alcune considerazioni, oltre a quelle già espresse da alcuni lettori e che si possono apprezzare nell’archivio di dicembre 2006.
La prima è quella che, con il suo gesto Lugo mantiene, almeno ufficialmente, le debite distanze tra il potere civile e quello religioso. Lugo prende atto di quello che gli comunica Roma e lascia non solo il suo posto di vescovo, ma anche il sacerdozio.
L’altra considerazione è che in quasi tutta l’America Latina non c’è vescovo che non interviene nella vita politica del proprio paese d’appartenenza. Cattolici e cristiani in generale –le etichette evangeliche si sprecano- arringano, fanno proselitismo, si schierano con l’uno o l’altro bando politico.
Lugo ha dato un esempio in un continente dove non esiste e non è mai esistita morale e rispetto delle chiese cristiane per l’ambito politico. Solo negli ultimi trenta anni abbiamo assistito al sorgere della Teologia della Liberazione e al suo inesorabile declino. Gli oceanici raduni di papa Woytila negli anni Ottanta erano dei veri e propri meeting politici, dove si decidevano le politiche a seguire secondo le indicazioni del papa: qui i buoni, là i cattivi (un esempio: Daniel Ortega –oggi cattolicissimo- fu marcato come cattivo e il genocida Ríos Montt, evangelico e insofferente con la Chiesa cattolica, nonostante un fratello vescovo, venne inserito tra i buoni).
Il cardinale Obando y Bravo ha sempre detto per chi votare in Nicaragua (per Arnoldo Alemán, ladro e corrotto); il cardinale Bergoglio aiutò la dittatura argentina; i Legionari di Cristo sono stati il Grande fratello della presidenza Fox in Messico e si potrebbe andare avanti per ore. Lo stesso vale per le chiese evangeliche, a cui il Perù deve il decennio fujimorista o dell’importanza che hanno avuto per la rielezione di Lula da Silva in Brasile.
Quando la Chiesa cattolica (e tutte le altre chiese) si atterrà esclusivamente al suo ruolo pastorale? Mai. D’altronde, la Chiesa cattolica non impone ai suoi prelati l’astensione dalla vita politica. Il codice canonico vieta ai religiosi l’appartenenza ad un partito politico o a un sindacato e di ricoprire cariche pubbliche: niente di più. I commenti, pesanti come macigni sulle decisioni del cristianissimo popolo latinoamericano, sono apprezzati e meglio ancora se appoggiano lo status quo.
Insomma, fa bene Lugo a mettere da parte l’abito, ma allo stesso tempo a dichiarare di non avere intenzione di lasciare la Chiesa, nella quale continua a credere. È un messaggio di speranza di una persona che vuole dare fiducia: ai paraguayani e a quanti credono ancora nel messaggio solidale della Chiesa.
Una nuova intervista a Lugo, rilasciata ad Abc di Asunción: http://www.paginadigital.com.ar/articulos/2006/2006seg/cartas5/paraguay-080107.asp
La notizia merita alcune considerazioni, oltre a quelle già espresse da alcuni lettori e che si possono apprezzare nell’archivio di dicembre 2006.
La prima è quella che, con il suo gesto Lugo mantiene, almeno ufficialmente, le debite distanze tra il potere civile e quello religioso. Lugo prende atto di quello che gli comunica Roma e lascia non solo il suo posto di vescovo, ma anche il sacerdozio.
L’altra considerazione è che in quasi tutta l’America Latina non c’è vescovo che non interviene nella vita politica del proprio paese d’appartenenza. Cattolici e cristiani in generale –le etichette evangeliche si sprecano- arringano, fanno proselitismo, si schierano con l’uno o l’altro bando politico.
Lugo ha dato un esempio in un continente dove non esiste e non è mai esistita morale e rispetto delle chiese cristiane per l’ambito politico. Solo negli ultimi trenta anni abbiamo assistito al sorgere della Teologia della Liberazione e al suo inesorabile declino. Gli oceanici raduni di papa Woytila negli anni Ottanta erano dei veri e propri meeting politici, dove si decidevano le politiche a seguire secondo le indicazioni del papa: qui i buoni, là i cattivi (un esempio: Daniel Ortega –oggi cattolicissimo- fu marcato come cattivo e il genocida Ríos Montt, evangelico e insofferente con la Chiesa cattolica, nonostante un fratello vescovo, venne inserito tra i buoni).
Il cardinale Obando y Bravo ha sempre detto per chi votare in Nicaragua (per Arnoldo Alemán, ladro e corrotto); il cardinale Bergoglio aiutò la dittatura argentina; i Legionari di Cristo sono stati il Grande fratello della presidenza Fox in Messico e si potrebbe andare avanti per ore. Lo stesso vale per le chiese evangeliche, a cui il Perù deve il decennio fujimorista o dell’importanza che hanno avuto per la rielezione di Lula da Silva in Brasile.
Quando la Chiesa cattolica (e tutte le altre chiese) si atterrà esclusivamente al suo ruolo pastorale? Mai. D’altronde, la Chiesa cattolica non impone ai suoi prelati l’astensione dalla vita politica. Il codice canonico vieta ai religiosi l’appartenenza ad un partito politico o a un sindacato e di ricoprire cariche pubbliche: niente di più. I commenti, pesanti come macigni sulle decisioni del cristianissimo popolo latinoamericano, sono apprezzati e meglio ancora se appoggiano lo status quo.
Insomma, fa bene Lugo a mettere da parte l’abito, ma allo stesso tempo a dichiarare di non avere intenzione di lasciare la Chiesa, nella quale continua a credere. È un messaggio di speranza di una persona che vuole dare fiducia: ai paraguayani e a quanti credono ancora nel messaggio solidale della Chiesa.
Una nuova intervista a Lugo, rilasciata ad Abc di Asunción: http://www.paginadigital.com.ar/articulos/2006/2006seg/cartas5/paraguay-080107.asp
Labels: Paraguay
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