Tutto normale a Ciudad Juárez
Tutto normale e tutto tranquillo a Ciudad Juárez. Circa un mese fa riportavamo come le autorità federali avessero deciso di disistimare la gravità degli omicidi ai danni di donne giovani. Ora, a poco più di metà anno le organizzazioni per la difesa dei diritti umani fanno sapere che sono già state uccise 28 ragazze, una per settimana praticamente, la cifra più alta dal 1993 ad oggi.
Secondo la polizia federale, ma anche per i giudici ed i procuratori che hanno lavorato sui casi, non esiste una matrice comune: niente crimine organizzato, niente festini del narcotraffico. Ogni caso è un mondo a parte con un’origine differente da fare risalire a vendette, rapine, stupri. Storie isolate finite male, insomma. La teoria dello scrittore Sergio González Rodríguez che sulla vicenda ha scritto un libro, “Huesos en el desierto”, si materializza sull'indifferenza con cui agiscono le autorità. Le donne non sono altro che un genere di consumo: si prendono, si usano e si gettano via. È questo il cancro che corrode a fondo la società della frontiera di Ciudad Juárez ed è di fronte a questo malessere che i più chiudono gli occhi e si negano di vedere e leggere la verità. Cade a proposito il corsivo della scrittrice Elena Poniatowska: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=34765
che illustra la povertà di una società che basa la sua sopravvivenza sulla violenza, forze dell’ordine comprese.
Pur accettando l’incredibile conclusione del procuratore, che ridicolizza la partecipazione dei gruppi criminali organizzati, rimane il vuoto del sociale. In tutto il Messico, nel 2005, seimila donne sono state assassinate (http://www.elmundo.es/elmundo/2006/07/21/solidaridad/1153481241.html), un numero impressionante che ci dice come la violenza ed il disprezzo siano insiti nella cultura di questo grande paese.
Vi posto un’analisi di Emilia Lavalle su cosa significhi essere una donna in Messico:
http://www.mujeresenred.net/iberoamericanas/article.php3?id_article=33
Secondo la polizia federale, ma anche per i giudici ed i procuratori che hanno lavorato sui casi, non esiste una matrice comune: niente crimine organizzato, niente festini del narcotraffico. Ogni caso è un mondo a parte con un’origine differente da fare risalire a vendette, rapine, stupri. Storie isolate finite male, insomma. La teoria dello scrittore Sergio González Rodríguez che sulla vicenda ha scritto un libro, “Huesos en el desierto”, si materializza sull'indifferenza con cui agiscono le autorità. Le donne non sono altro che un genere di consumo: si prendono, si usano e si gettano via. È questo il cancro che corrode a fondo la società della frontiera di Ciudad Juárez ed è di fronte a questo malessere che i più chiudono gli occhi e si negano di vedere e leggere la verità. Cade a proposito il corsivo della scrittrice Elena Poniatowska: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=34765
che illustra la povertà di una società che basa la sua sopravvivenza sulla violenza, forze dell’ordine comprese.
Pur accettando l’incredibile conclusione del procuratore, che ridicolizza la partecipazione dei gruppi criminali organizzati, rimane il vuoto del sociale. In tutto il Messico, nel 2005, seimila donne sono state assassinate (http://www.elmundo.es/elmundo/2006/07/21/solidaridad/1153481241.html), un numero impressionante che ci dice come la violenza ed il disprezzo siano insiti nella cultura di questo grande paese.
Vi posto un’analisi di Emilia Lavalle su cosa significhi essere una donna in Messico:
http://www.mujeresenred.net/iberoamericanas/article.php3?id_article=33
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