Abimael non parla
Continua a Lima il processo ad Abimael Guzmán e ad altri venti esponenti di Sendero Luminoso. Oggi è uscita su “Diario” (www.diario.it) una breve retrospettiva da me firmata su quello che è stato Sendero. Stringata, naturalmente, per ragioni di spazio. Il processo, comunque, si preannuncia lungo, per cui avremo tempo di tornare sull’argomento. Se non avete comperato il giornale, il testo dell’articolo è quello che segue.
A vederlo sembra un animale in gabbia, una fiera ormai appesantita dagli anni e dal regime di carcere duro. Ha parlato una sola volta, all’inizio del procedimento, per dire che rifiuta ogni accusa di terrorismo e che quella scatenata da Sendero Luminoso, il gruppo da lui fondato, è stata una guerra popolare: “Sono un combattente rivoluzionario, non un terrorista” ha fatto sapere, per poi tacere.
Abimael Guzmán, il presidente Gonzalo per i suoi seguaci, non dichiarerà nel processo che è iniziato nell’aula bunker del Callao, nei pressi di Lima, sulle attività sovversive di Sendero Luminoso. Secondo l’accusa, si tratta di un sotterfugio per prolungare i tempi della sentenza, che dovrebbe mettere una volta per tutte la parola fine a uno dei periodi più tragici della storia recente del Perú.
Guzmán ha oggi 70 anni e da tredici vive in una cella in isolamento nell’isola di San Lorenzo, un arido sperone di roccia di fronte alla capitale. È l’uomo più sorvegliato del paese, un nemico pubblico numero uno ridotto all’impotenza, che ancora oggi, lungi dallo scendere a patti, taccia il suo violento operare come il tentativo di stabilire nel Perú una repubblica popolare di stampo maoista.
Sendero Luminoso, con queste credenziali, ha tenuto in scacco la fragilissima democrazia peruviana per tutti gli anni Ottanta, facendo sprofondare il Paese in un inferno dove tutti, esercito e rivoluzionari, sono stati responsabili di barbarie nei confronti della popolazione civile. La stagione di fuoco inizia nel 1981, con i primi attentati e le prime uccisioni. Le università della provincia (Ayacucho, Huamanga) sono il centro di arruolamento. Gli studenti dell’estrema sinistra vengono attirati dalle teorie di Guzman, professore di filosofia che auspica la creazione di uno stato popolare attraverso la rivoluzione cruenta. Gli credono in molti. Le città e le campagne della sierra si trasformano in campi di battaglia e le esecuzioni diventano all’ordine del giorno. Poliziotti, proprietari terrieri, semplici contadini cadono sotto le armi di Sendero Luminoso al termine di veloci giudizi sommari, dove l’improvvisato tribunale popolare decide sempre e solo comminare la morte.
Lo Stato è debole. Il presidente Belaunde è il primo rappresentante civile a coprire questo incarico dopo anni di dittature militari e lo scontro si sparge a macchia d’olio verso la capitale. È il 1983. I rivoluzionari sono giovanissimi e spietati, imbevuti di una ideologia dove non c’è spazio per la pietà. Come risposta, l’esercito colpisce anche lui nel mucchio. Le comunità indigene sospettate di connivenza vengono rase al suolo e gli abitanti fatti sparire. La prima fossa comune di desaparecidos viene scoperta a Huanta, nell’agosto del 1984 con cinquanta corpi. Sono soprattutto contadini, persone che, lontane dall’intendere la portata dello scontro in corso, ha dato vitto e alloggio ai rivoluzionari seguendo le ataviche regole dell’ospitalità. Più tardi, quando a Lima scoppiano le prime bombe, il presidente Gonzalo ha già stretto i legami con il narcotraffico per finanziare le attività di Sendero Luminoso, ormai impegnato su tutti i fronti. Quando Alan García viene eletto presidente, il suo biglietto da visita nei confronti dei rivoluzionari è la strage nelle carceri della capitale che lascia come saldo più di 280 morti, tutti senderisti. Ormai è guerra aperta. Le vittime si contano nell’ordine delle migliaia: alla fine, secondo la ricostruzione della Commissione per la verità e la riconciliazione, che ha terminato i suoi lavori nel 2003, sono quasi settantamila; 4644 le fosse comuni ritrovate. Ma l’eredità lasciata da Sendero Luminoso e dalla repressione attuata dalle Forze Armate è stata quella di aver militarizzato la società e di aver permesso l’ascesa di un nuovo dittatore, Alberto Fujimori. Gli ultimi colpi di Sendero sono rivolti contro attivisti dei diritti umani, sindacalisti, contadini, operai, giudici di pace nel tentativo di minare le istanze democratiche della società civile che finalmente insorgeva per chiedere la pacificazione del conflitto. Tra gli ultimi a cadere, nel febbraio 1992, c’è María Elena Moyano, attivista premiata con il Principe di Asturie in Spagna per il suo lavoro nelle comunità femminili. La folla di trecentomila persone che accompagnò il suo funerale fu l’espressione definitiva del ripudio popolare per la follia visionaria di Sendero Luminoso.
Abimael Guzmán venne catturato pochi mesi dopo, nel settembre 1992. Da allora, i colpi di coda di Sendero sono stati numerosi, ma gli arresti dei comandanti superstiti ne ha oggi ridotto al minimo il potenziale.
Nella gabbia del Callao, Guzmán scruta i giudici con aria di sfida, senza rimorsi. In nome del suo ideale è ancora convinto che settantamila morti non siano stati abbastanza.
A vederlo sembra un animale in gabbia, una fiera ormai appesantita dagli anni e dal regime di carcere duro. Ha parlato una sola volta, all’inizio del procedimento, per dire che rifiuta ogni accusa di terrorismo e che quella scatenata da Sendero Luminoso, il gruppo da lui fondato, è stata una guerra popolare: “Sono un combattente rivoluzionario, non un terrorista” ha fatto sapere, per poi tacere.
Abimael Guzmán, il presidente Gonzalo per i suoi seguaci, non dichiarerà nel processo che è iniziato nell’aula bunker del Callao, nei pressi di Lima, sulle attività sovversive di Sendero Luminoso. Secondo l’accusa, si tratta di un sotterfugio per prolungare i tempi della sentenza, che dovrebbe mettere una volta per tutte la parola fine a uno dei periodi più tragici della storia recente del Perú.
Guzmán ha oggi 70 anni e da tredici vive in una cella in isolamento nell’isola di San Lorenzo, un arido sperone di roccia di fronte alla capitale. È l’uomo più sorvegliato del paese, un nemico pubblico numero uno ridotto all’impotenza, che ancora oggi, lungi dallo scendere a patti, taccia il suo violento operare come il tentativo di stabilire nel Perú una repubblica popolare di stampo maoista.
Sendero Luminoso, con queste credenziali, ha tenuto in scacco la fragilissima democrazia peruviana per tutti gli anni Ottanta, facendo sprofondare il Paese in un inferno dove tutti, esercito e rivoluzionari, sono stati responsabili di barbarie nei confronti della popolazione civile. La stagione di fuoco inizia nel 1981, con i primi attentati e le prime uccisioni. Le università della provincia (Ayacucho, Huamanga) sono il centro di arruolamento. Gli studenti dell’estrema sinistra vengono attirati dalle teorie di Guzman, professore di filosofia che auspica la creazione di uno stato popolare attraverso la rivoluzione cruenta. Gli credono in molti. Le città e le campagne della sierra si trasformano in campi di battaglia e le esecuzioni diventano all’ordine del giorno. Poliziotti, proprietari terrieri, semplici contadini cadono sotto le armi di Sendero Luminoso al termine di veloci giudizi sommari, dove l’improvvisato tribunale popolare decide sempre e solo comminare la morte.
Lo Stato è debole. Il presidente Belaunde è il primo rappresentante civile a coprire questo incarico dopo anni di dittature militari e lo scontro si sparge a macchia d’olio verso la capitale. È il 1983. I rivoluzionari sono giovanissimi e spietati, imbevuti di una ideologia dove non c’è spazio per la pietà. Come risposta, l’esercito colpisce anche lui nel mucchio. Le comunità indigene sospettate di connivenza vengono rase al suolo e gli abitanti fatti sparire. La prima fossa comune di desaparecidos viene scoperta a Huanta, nell’agosto del 1984 con cinquanta corpi. Sono soprattutto contadini, persone che, lontane dall’intendere la portata dello scontro in corso, ha dato vitto e alloggio ai rivoluzionari seguendo le ataviche regole dell’ospitalità. Più tardi, quando a Lima scoppiano le prime bombe, il presidente Gonzalo ha già stretto i legami con il narcotraffico per finanziare le attività di Sendero Luminoso, ormai impegnato su tutti i fronti. Quando Alan García viene eletto presidente, il suo biglietto da visita nei confronti dei rivoluzionari è la strage nelle carceri della capitale che lascia come saldo più di 280 morti, tutti senderisti. Ormai è guerra aperta. Le vittime si contano nell’ordine delle migliaia: alla fine, secondo la ricostruzione della Commissione per la verità e la riconciliazione, che ha terminato i suoi lavori nel 2003, sono quasi settantamila; 4644 le fosse comuni ritrovate. Ma l’eredità lasciata da Sendero Luminoso e dalla repressione attuata dalle Forze Armate è stata quella di aver militarizzato la società e di aver permesso l’ascesa di un nuovo dittatore, Alberto Fujimori. Gli ultimi colpi di Sendero sono rivolti contro attivisti dei diritti umani, sindacalisti, contadini, operai, giudici di pace nel tentativo di minare le istanze democratiche della società civile che finalmente insorgeva per chiedere la pacificazione del conflitto. Tra gli ultimi a cadere, nel febbraio 1992, c’è María Elena Moyano, attivista premiata con il Principe di Asturie in Spagna per il suo lavoro nelle comunità femminili. La folla di trecentomila persone che accompagnò il suo funerale fu l’espressione definitiva del ripudio popolare per la follia visionaria di Sendero Luminoso.
Abimael Guzmán venne catturato pochi mesi dopo, nel settembre 1992. Da allora, i colpi di coda di Sendero sono stati numerosi, ma gli arresti dei comandanti superstiti ne ha oggi ridotto al minimo il potenziale.
Nella gabbia del Callao, Guzmán scruta i giudici con aria di sfida, senza rimorsi. In nome del suo ideale è ancora convinto che settantamila morti non siano stati abbastanza.
0 Comments:
Post a Comment
<< Home