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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Monday, October 17, 2005

Uriel e il Cafta

Uriel ha lavorato per dodici anni in un mattatoio. Ha ammazzato, scuoiato e tagliato a pezzetti centinaia di bovini, ne ha calpestato il sangue e ha imparato come la paura di quelle bestie –la paura di morire- fosse reale e tangibile. Uriel se ne è andato dal mattatoio per non fare un mestiere che abitua alla morte. Un paio di anni fa ha smesso e si è dedicato a forgiare il ferro. Fa l’herrero, come lo chiamano qui. È venuto a casa mia l’altro giorno e, mentre mi accompagnava in macchina a recuperare una scala, mi ha chiesto cosa ne pensassi del Tlc, il Cafta.
“Noi vendevamo la carne agli Stati Uniti” mi ha raccontato.
“Quando venivano gli ispettori, ci facevano preparare con ore di anticipo perchè fossimo in ordine. Capivo che non ci permettessero di portare anelli o braccialetti, fa parte delle norme, così come curare l’igiene. I gringos erano gentili, sorridevano a tutti e prendevano appunti. Nella seconda visita, però, chiesero che gli uomini si tagliassero i baffi. Questo andava già al di là delle norme. Nella terza visita, quelli che non avevano obbedito vennero licenziati. Poi, chiesero che i capelli, nonostante fossero protetti dalla reticella e dal casco, venissero tagliati il più corto possibile. Anche questo andava oltre le regole, eppure il messaggio era stato chiaro: ti tagli i capelli o te ne vai”.
Questa è la paura del Cafta. Si entra con le buone a casa di una persona e poi ci si comporta da padroni. È successo tante volte nel passato e le nazioni centroamericane hanno ricordi ancora dolorosi e ferite che non si rimarginano tanto facilmente.
Uriel non crede nel Cafta. Non ci crede perchè possiede una buona dose di saggezza spiccia e perchè, in fondo, non vuole che da fuori venga qualche sconosciuto ad ordinargli di tagliarsi i capelli.

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