Nicaragua e Costa Rica ai ferri corti
Due settimane fa pubblicavo su peacereporter (www.peacereporter.net) un articolo sulla crisi tra Nicaragua e Costa Rica (sotto il testo completo). A distanza di quindici giorni l'ambasciatore nicaraguense è tornato a San José, la tensione si è allentata un poco, ma stamattina è apparsa su La Nación -il quotidiano più diffuso in Costa Rica- (www.nacion.com) la notizia con l'obbligo da parte delle lance costaricensi che solcano il fiume San Juan di issare una bandiera del Nicaragua.
Questo di seguito, l'articolo di due settimane fa.
Ritiro dell’ambasciatore, una tassa del 35% sui prodotti importati, schieramento dell’esercito alla frontiera: così il Nicaragua ha risposto alla denuncia che la Costa Rica ha interposto alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja.
Sul tappeto, il tema del diritto di circolazione sul fiume San Juan, corso d’acqua di frontiera tra i due paesi, ma appartenente per intero al Nicaragua. Il territorio della Costa Rica comincia infatti sulla sponda sud e gli accordi sottoscritti –in particolare quello del 1858 e convalidato trent’anni più tardi dall’allora presidente degli Stati Uniti, Cleveland- sono oggi motivo della differenza di interpretazione. Per la Costa Rica esiste il diritto di poter navigare liberamente nelle acque del fiume per scopi commerciali e di polizia; per il Nicaragua no.
A suscitare la polemica era stato nel 1998 il presidente nicaraguense di allora, Arnoldo Alemán –che sta scontando una condanna a venti anni per corruzione e narcotraffico- che denunciò la presenza di pattuglie armate della polizia costaricense nel fiume. Al momento era sembrata una trovata politica, intrisa di demagogia, dovuta al calo di popolarità di un discusso presidente. Invece, processato e condannato Alemán, la questione è rimasta comunque irrisolta. Da allora, infatti, le imbarcazioni costaricensi che solcano le acque del fiume, una risorsa che richiama centinaia di turisti a settimana, devono pagare un dazio al Nicaragua, mentre le forze di polizia, impegnate nella prevenzione al narcotraffico, al contrabbando e all’immigrazione clandestina, devono operare disarmate. La misura colpisce però anche i pescatori e gli studenti che, in una regione priva di strade, usano il fiume per il loro lavoro e per recarsi a scuola.
Dopo anni di inutili negoziati tra le due diplomazie è arrivata la decisione della Costa Rica di esporre il caso all’Aja. Si tratterà di un lungo procedimento, che costerà a due paesi sempre con problemi di bilancio, alcuni milioni di dollari. Proprio per fare fronte a questa imprevista spesa, il governo nicaraguense voterà al Congresso nei prossimi giorni un decreto per gravare i prodotti costaricensi di una tassa del 35%. La misura –chiamata già pomposamente “Imposta patriottica”- è stata criticata dagli stessi imprenditori nicaraguensi che, come i colleghi dell’altra sponda, chiedono invece una risoluzione diplomatica al conflitto che non danni i rapporti commerciali.
La decisione costaricense giunge come un salvagente per Enrique Bolaños, l’attuale presidente nicaraguense che da mesi sta lottando contro un’opposizione interna, condotta anche dal suo stesso partito, che ne ha chiesto più volte le dimissioni. Forse, proprio per questo si spiega la esagerata reazione di Bolaños di inviare l’esercito alla frontiera per vigilare un fiume che da anni non viene pattugliato dalle lance della polizia costaricense. Come spesso avviene in America Latina, ogni minimo screzio di frontiera viene usato demagogicamente dai politici per gettare fumo negli occhi ad un’opinione pubblica vessata da più profondi e reali problemi come la povertà, la disoccupazione, il costo della vita. Il collega costaricense di Bolaños, Abel Pacheco, versa anche lui in un pessimo momento in quanto a popolarità ed inoltre la Costa Rica è entrata in piena campagna elettorale. Il tema del fiume San Juan diventa quindi argomento di peso per i candidati.
Nel botta e risposta di questi giorni, la Costa Rica ha fatto sapere che, nel caso i propri prodotti venissero tassati, risponderebbe con un’imposta simile sulle rimesse che almeno mezzo milione di nicaraguensi emigrati inviano ogni settimana alle loro famiglie in patria.
Intanto, Francisco Fiallos, ambasciatore nicaraguense in Costa Rica, è stato ritirato a tempo indeterminato da San José. La rottura delle relazioni diplomatiche fa quindi pensare ad un acuirsi della crisi nei prossimi giorni.
Sul tappeto, il tema del diritto di circolazione sul fiume San Juan, corso d’acqua di frontiera tra i due paesi, ma appartenente per intero al Nicaragua. Il territorio della Costa Rica comincia infatti sulla sponda sud e gli accordi sottoscritti –in particolare quello del 1858 e convalidato trent’anni più tardi dall’allora presidente degli Stati Uniti, Cleveland- sono oggi motivo della differenza di interpretazione. Per la Costa Rica esiste il diritto di poter navigare liberamente nelle acque del fiume per scopi commerciali e di polizia; per il Nicaragua no.
A suscitare la polemica era stato nel 1998 il presidente nicaraguense di allora, Arnoldo Alemán –che sta scontando una condanna a venti anni per corruzione e narcotraffico- che denunciò la presenza di pattuglie armate della polizia costaricense nel fiume. Al momento era sembrata una trovata politica, intrisa di demagogia, dovuta al calo di popolarità di un discusso presidente. Invece, processato e condannato Alemán, la questione è rimasta comunque irrisolta. Da allora, infatti, le imbarcazioni costaricensi che solcano le acque del fiume, una risorsa che richiama centinaia di turisti a settimana, devono pagare un dazio al Nicaragua, mentre le forze di polizia, impegnate nella prevenzione al narcotraffico, al contrabbando e all’immigrazione clandestina, devono operare disarmate. La misura colpisce però anche i pescatori e gli studenti che, in una regione priva di strade, usano il fiume per il loro lavoro e per recarsi a scuola.
Dopo anni di inutili negoziati tra le due diplomazie è arrivata la decisione della Costa Rica di esporre il caso all’Aja. Si tratterà di un lungo procedimento, che costerà a due paesi sempre con problemi di bilancio, alcuni milioni di dollari. Proprio per fare fronte a questa imprevista spesa, il governo nicaraguense voterà al Congresso nei prossimi giorni un decreto per gravare i prodotti costaricensi di una tassa del 35%. La misura –chiamata già pomposamente “Imposta patriottica”- è stata criticata dagli stessi imprenditori nicaraguensi che, come i colleghi dell’altra sponda, chiedono invece una risoluzione diplomatica al conflitto che non danni i rapporti commerciali.
La decisione costaricense giunge come un salvagente per Enrique Bolaños, l’attuale presidente nicaraguense che da mesi sta lottando contro un’opposizione interna, condotta anche dal suo stesso partito, che ne ha chiesto più volte le dimissioni. Forse, proprio per questo si spiega la esagerata reazione di Bolaños di inviare l’esercito alla frontiera per vigilare un fiume che da anni non viene pattugliato dalle lance della polizia costaricense. Come spesso avviene in America Latina, ogni minimo screzio di frontiera viene usato demagogicamente dai politici per gettare fumo negli occhi ad un’opinione pubblica vessata da più profondi e reali problemi come la povertà, la disoccupazione, il costo della vita. Il collega costaricense di Bolaños, Abel Pacheco, versa anche lui in un pessimo momento in quanto a popolarità ed inoltre la Costa Rica è entrata in piena campagna elettorale. Il tema del fiume San Juan diventa quindi argomento di peso per i candidati.
Nel botta e risposta di questi giorni, la Costa Rica ha fatto sapere che, nel caso i propri prodotti venissero tassati, risponderebbe con un’imposta simile sulle rimesse che almeno mezzo milione di nicaraguensi emigrati inviano ogni settimana alle loro famiglie in patria.
Intanto, Francisco Fiallos, ambasciatore nicaraguense in Costa Rica, è stato ritirato a tempo indeterminato da San José. La rottura delle relazioni diplomatiche fa quindi pensare ad un acuirsi della crisi nei prossimi giorni.
1 Comments:
good start
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