blog americalatina

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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Monday, October 31, 2005

Questa settimana (30 ottobre-5 novembre)

Occhi puntati questa settimana su Mar del Plata dove giovedì i presidenti latinoamericani incontreranno George Bush. Sul tappeto ci saranno i temi riguardanti l’Alca (spinto dagli Usa, ovviamente), ma anche quelli sulla giustizia sociale, richiesti da Argentina e Venezuela. Gli occhi saranno puntati proprio su Bush e Chávez, che avranno occasione di vedersi dopo le numerose polemiche dei mesi scorsi. La pagina web per seguire gli eventi della due giorni di Mar del Plata, è la seguente: www.summit-americas.org/NextSummit-esp.htm
Tra le lingue del sitio non c’è l’italiano. Dovrete affrontare la lettura in spagnolo, inglese, francese o portoghese.

Il giorno dedicato ai morti, il 2 novembre, è tutto una tradizione in Messico. Intere famiglie visitano i loro cari nei cimiteri, portando con sè tortillas, tacos e guitarrones. Addirittura c’è un dolce, la “calaverita” (il teschietto), che si prepara per onorare questo giorno. A forma di teschio, appunto, è una delizia al cioccolato che porta scritto il nome del defunto. Un altro dolce apprezzato è quello chiamato Pan de Muerto. Se volete provare a prepararlo, la ricetta la trovate su:
www.diademuertos.com/Recetas.html
nella pagina dedicata alla regione di Michoacán.

Dopo la rassegna cilena, anche Buenos Aires ha inaugurato la sua settimana del libro, che durerà dal 30 ottobre al 5 novembre. In particolare, c’è lo spazio dedicato ai bambini, con l’iniziativa “A leer jugando”:
www.editores.org.ar/

Sunday, October 30, 2005

Liberali non li vogliamo

Latinobarómetro ha reso noti questa settimana i risultati di governabilità e democrazia dei 18 paesi che formano l’America Latina. Nelle inchieste svolte dall’istituto –che ha sede in Cile- sono state prese in considerazione le condizioni dei poteri delle repubbliche, lo stato dell’economia, lo sviluppo della società. All’opinione pubblica, poi, è stato chiesto di esprimersi sulla fiducia al proprio presidente e al proprio governo. Alla fine, i risultati -che potete scaricare in formato Adobe da qui: www.latinobarometro.org/index.php?id=66
hanno dimostrato come la gente stia premiando gli sforzi di quei governi che hanno lasciato da parte le politiche liberali a favore di quelle sociali. In quanto all’azione dei governi, al primo posto è risultato quello dell’Uruguay (72%), seguito dall’Argentina (71%), dalla Colombia (69%), dal Cile e dal Venezuela (entrambe al 65%). In quanto alla popolarità dei presidenti, al primo posto è risultato Lula, seguito da Hugo Chávez. Brasile, Argentina e Cile sono i Paesi che infondono maggiore fiducia per quanto riguarda gli investimenti.
Perú, Nicaragua, Honduras ed Ecuador, dove l’apertura è stata indiscriminata, languono agli ultimi posti. Sono cifre, certo, ma aiutano a fotografare perfettamente come i latinoamericani percepiscono i propri governi.

Saturday, October 29, 2005

Meno male che ci sono i poeti

Juan Gelman, poeta argentino, è stato insignito ieri con il Premio Reina Sofia di Poesia iberoamericana. Si tratta del maggior riconoscimento per un poeta di lingua spagnola. Gelman, che è nato a Buenos Aires nel 1930, ha sofferto in prima persona la repressione del regime dittatoriale argentino (il figlio fu torturato e ucciso dai militari; la nuora rapita –ed anche lei assassinata- mentre era incinta). La memoria permea la sua opera perchè, come dice: “Lo spirito di un paese che dimentica la sua verità, non può ampiare i suoi orizzonti”. E ancora: “La poesia è viva, parla all’essere umano, va verso la realtà e la restituisce differente”.
Gelman ha criticato nei giorni passati la decisione del Tribunale di Montevideo, che in appello ha deciso di archiviare il caso dell’omicidio della nuora. María Claudia García, una ragazza di appena diciannove anni e incinta di una bimba, venne sequestrata a Buenos Aires nell’agosto 1976 e quindi “passata” ai militari uruguayani. Le circostanze della sua morte non vennero mai chiarite ma intanto la bimba che era nata venne data in adozione a una coppia di militari. Gelman ha ritrovato sua nipote solo nel 2000, dopo lunghe ricerche. Un’intervista non recente (è del 1996), ma significativa, la trovate nel sito web di letteratura argentina:
www.literatura.org/Gelman/repo_Gelman.html
Una intervista in italiano è reperibile su:
www.ilportoritrovato.net/html/bibliogelman3.html
Se volete leggere le sue poesie in lingua originale (ce ne sono 104), allora andate su: www.poesi.as
poi nel motore di ricerca che appare nella pagina principale, ricercate e cliccate su Gelman.
In lingua italiana, “Nel rovescio del mondo” (2003) è pubblicato da Interlinea di Novara.
Infine, Gelman dispone di una propria pagina web con note anche in italiano:
www.juangelman.org

Friday, October 28, 2005

Chi si ricorda di Grenada?

Chi si ricorda di Grenada? L’operazione Urgent Fury (questi nomi un poco isterici e un poco ridicoli si ripetono sempre) dell’esercito statunitense iniziò il 25 ottobre 1983. L’invasione servì e per cacciare dall’isola un centinaio di soldati cubani che funzionavano da consulenti militari, e per ristabilire un governo pro-Usa, e per testare la capacità d’urto dei marines nel caso di un attacco al Nicaragua sandinista. Il pretesto venne fornito dall’uccisione del primo ministro Maurice Bishop, in una lotta intestina all’interno di due fazioni del Partito socialista allora al governo.
In questi giorni, ricorre il ventiduesimo anniversario di quell’invasione che costò, secondo fonti ufficiali 19 morti tra i marines, 29 tra i cubani e 49 tra i civili. Un articolo interessante non solo sull’invasione di Grenada, ma più in generale sul ruolo degli Stati Uniti in America Latina negli ultimi cinquanta anni, lo trovate sulla rivista web dei giornalisti non allineati:
www.voltairenet.org/article120770.html

Wednesday, October 26, 2005

Una guerra non mia

È quella dei latinoamericani che si travestono da marines per andare a morire in Iraq. Non a caso il primo a morire fu un guatemalteco. In questi giorni ha varcato la soglia delle duemila unità il numero dei soldati Usa morti. Per chi pensa che le perdite siano andate diminuendo, mano alle statistiche: nell’ottobre 2003 perirono 44 marines; l’anno scorso 63, mentre quest’anno –e mancano ancora cinque giorni- siamo a quota 67.
E se vi siete mai chiesti quali siano i loro nomi? Date un’occhiata a:
www.globalsecurity.org/military/ops/iraq_casualties.htm

Tra settembre e ottobre: Vilorio, Arcalá, Silva, Fernández, Sonoda, Ortega, Baez, Cabino, Cherava, Escobar, Ponce, Mora, Rosario, risaltano tra i cognomi anglosassoni.
Basta sfogliare l’elenco con attenzione per rendersi che la carne da cannone è sempre la stessa: neri, white trash e latinos.

Monday, October 24, 2005

Gli scatti di Lillo/1



Lillo Rizzo è un bravissimo fotografo. L’avete conosciuto sicuramente perchè la foto di copertina sull’Espresso con il reportage di Fabrizio Gatti sul centro di accoglienza di Lampedusa, era sua. Lillo, a cavallo tra il 2004 ed il 2005 ha viaggiato in America Latina, percorrendo le strade dell’Argentina, della Bolivia, del Perú e dell’Ecuador. Per mesi ha fotografato la realtà più trascurata e nascosta, fermando in immagini i drammi e le tragedie dei migliaia di latinoamericani senza diritti.
Tornando a parlare di Sendero Luminoso, come vi avevo promesso, vi propongo qui tre scatti di Lillo sui familiari dei desaparecidos di Ayacucho. Sul caso, abbiamo pubblicato un articolo sul numero di Narcomafie di settembre (
www.narcomafie.it)

Vince il No in Brasile

Almeno è servito per dare un chiaro segnale. Il governo di Lula ha perso nel referendum per la proibizione alla vendita di armi, ma ha dimostrato che certe battaglie sono possibili. La decisione dei brasiliani è stata per il No con un risultato del 63,92% contro il 36,08% degli abolizionisti. La società brasiliana continuerà quindi ad armarsi, come se quasi 40.000 omicidi all’anno siano pochi. Un’esauriente relazione su come hanno votato i brasiliani per Stato la si può trovare sulle pagine dell’agenzia di stampa brasiliana:
www.radiobras.gov.br/
cliccando sul link che si trova nella parte superiore.

Sunday, October 23, 2005

Questa settimana (23-29 ottobre)

Da seguire: come si muove Wilma. Dopo essere passato per Cancún, l’uragano ha ripreso forza e raggiungerà forza 5 nelle prossime ore. Si muove verso Cuba e quindi verso la Florida. I movimenti di Wilma e degli altri uragani (è attivo anche Alpha, al largo di Santo Domingo) li trovate su:
www.nhc.noaa.gov/

È uscito in America Latina il film boliviano “American Visa”, da vedere se capita che arrivi in Italia. Tratto dall’omonimo romanzo di Wolfango Montes Vanucci e diretto da Juan Carlos Valdivia, narra l’ossessione di un professore di La Paz per ottenere un visto per gli Stati Uniti, convinto che questo sia la risoluzione ai suoi problemi. Spaccato dell’America Latina attuale. Leggetene su:
www.bolivia.com/noticias/autonoticias/DetalleNoticia29441.asp

Fiera del Libro a Santiago del Cile, con le novità della letteratura latinoamericana, dal 25 ottobre al 6 novembre. Sono presenti 670 case editrici, con forte presenza europea. Il programma è ricco di presentazioni. Cercatele su:
www.camaradellibro.cl/filsa/
e poi cliccando in alto dove dice “programa cultural”.

Il presidente della Costa Rica, Abel Pacheco, ha deciso infine di inviare il Cafta alla ratificazione del congresso. Chi vuole saperne di più sull’opposizione, può scrivere a:
nueva_izquierda@gruposyahoo.com o a rojitica@yahoo.com

Sempre sulla Costa Rica, chi vuole ottenere un’informazione indipendente ed obiettiva, può collegarsi con:
www.informa-tico.com/php/informa-tico.php

Saturday, October 22, 2005

La tranquilla vita del giustiziere

Ieri è stato arrestato a San José, in Costa Rica, Evidelio Quiel. Il nome di per sè, dice poco, ma Quiel è stato uno dei collaboratori di Manuel Noriega, l’uomo forte di Panama negli anni Ottanta.
In particolare, Evidelio Quiel è considerato uno dei responsabili, assieme a Asunción Eliécer Gaitán y Gonzalo Chalo González (ancora profughi della giustizia) della “strage di Albrook”. Fedele di Manuel Noriega, a Quiel si imputa di aver partecipato alla tortura e alla fucilazione di nove ufficiali della Guardia Nacional che nell’ottobre 1989, due mesi prima dell’invasione statunitense, si erano sollevati contro il generale. A guidare la rivolta fu il maggiore Moisés Giroldi.
Incredibilmente, Quiel –su cui pesa una condanna a venti anni di prigione- viveva da otto anni in Costa Rica, con tanto di permesso di soggiorno e dirigeva un’azienda di tecnologia informatica. Nel giugno di quest’anno aveva addirittura presentato al Ministro dell’Economia della Costa Rica, Federico Carrillo, un progetto sviluppato dalla sua ditta, la Fullmaster Solución Satelital, per il controllo dei container attraverso il sistema Gps satellitare, come risulta da questo articolo pubblicato sulla Prensa Libre:
www.prensalibre.co.cr/2005/junio/03/economia01.php

La domanda da porsi è quindi: chi l’ha protetto durante tutti questi anni?

Friday, October 21, 2005

Abimael non parla

Continua a Lima il processo ad Abimael Guzmán e ad altri venti esponenti di Sendero Luminoso. Oggi è uscita su “Diario” (www.diario.it) una breve retrospettiva da me firmata su quello che è stato Sendero. Stringata, naturalmente, per ragioni di spazio. Il processo, comunque, si preannuncia lungo, per cui avremo tempo di tornare sull’argomento. Se non avete comperato il giornale, il testo dell’articolo è quello che segue.

A vederlo sembra un animale in gabbia, una fiera ormai appesantita dagli anni e dal regime di carcere duro. Ha parlato una sola volta, all’inizio del procedimento, per dire che rifiuta ogni accusa di terrorismo e che quella scatenata da Sendero Luminoso, il gruppo da lui fondato, è stata una guerra popolare: “Sono un combattente rivoluzionario, non un terrorista” ha fatto sapere, per poi tacere.
Abimael Guzmán, il presidente Gonzalo per i suoi seguaci, non dichiarerà nel processo che è iniziato nell’aula bunker del Callao, nei pressi di Lima, sulle attività sovversive di Sendero Luminoso. Secondo l’accusa, si tratta di un sotterfugio per prolungare i tempi della sentenza, che dovrebbe mettere una volta per tutte la parola fine a uno dei periodi più tragici della storia recente del Perú.
Guzmán ha oggi 70 anni e da tredici vive in una cella in isolamento nell’isola di San Lorenzo, un arido sperone di roccia di fronte alla capitale. È l’uomo più sorvegliato del paese, un nemico pubblico numero uno ridotto all’impotenza, che ancora oggi, lungi dallo scendere a patti, taccia il suo violento operare come il tentativo di stabilire nel Perú una repubblica popolare di stampo maoista.
Sendero Luminoso, con queste credenziali, ha tenuto in scacco la fragilissima democrazia peruviana per tutti gli anni Ottanta, facendo sprofondare il Paese in un inferno dove tutti, esercito e rivoluzionari, sono stati responsabili di barbarie nei confronti della popolazione civile. La stagione di fuoco inizia nel 1981, con i primi attentati e le prime uccisioni. Le università della provincia (Ayacucho, Huamanga) sono il centro di arruolamento. Gli studenti dell’estrema sinistra vengono attirati dalle teorie di Guzman, professore di filosofia che auspica la creazione di uno stato popolare attraverso la rivoluzione cruenta. Gli credono in molti. Le città e le campagne della sierra si trasformano in campi di battaglia e le esecuzioni diventano all’ordine del giorno. Poliziotti, proprietari terrieri, semplici contadini cadono sotto le armi di Sendero Luminoso al termine di veloci giudizi sommari, dove l’improvvisato tribunale popolare decide sempre e solo comminare la morte.
Lo Stato è debole. Il presidente Belaunde è il primo rappresentante civile a coprire questo incarico dopo anni di dittature militari e lo scontro si sparge a macchia d’olio verso la capitale. È il 1983. I rivoluzionari sono giovanissimi e spietati, imbevuti di una ideologia dove non c’è spazio per la pietà. Come risposta, l’esercito colpisce anche lui nel mucchio. Le comunità indigene sospettate di connivenza vengono rase al suolo e gli abitanti fatti sparire. La prima fossa comune di desaparecidos viene scoperta a Huanta, nell’agosto del 1984 con cinquanta corpi. Sono soprattutto contadini, persone che, lontane dall’intendere la portata dello scontro in corso, ha dato vitto e alloggio ai rivoluzionari seguendo le ataviche regole dell’ospitalità. Più tardi, quando a Lima scoppiano le prime bombe, il presidente Gonzalo ha già stretto i legami con il narcotraffico per finanziare le attività di Sendero Luminoso, ormai impegnato su tutti i fronti. Quando Alan García viene eletto presidente, il suo biglietto da visita nei confronti dei rivoluzionari è la strage nelle carceri della capitale che lascia come saldo più di 280 morti, tutti senderisti. Ormai è guerra aperta. Le vittime si contano nell’ordine delle migliaia: alla fine, secondo la ricostruzione della Commissione per la verità e la riconciliazione, che ha terminato i suoi lavori nel 2003, sono quasi settantamila; 4644 le fosse comuni ritrovate. Ma l’eredità lasciata da Sendero Luminoso e dalla repressione attuata dalle Forze Armate è stata quella di aver militarizzato la società e di aver permesso l’ascesa di un nuovo dittatore, Alberto Fujimori. Gli ultimi colpi di Sendero sono rivolti contro attivisti dei diritti umani, sindacalisti, contadini, operai, giudici di pace nel tentativo di minare le istanze democratiche della società civile che finalmente insorgeva per chiedere la pacificazione del conflitto. Tra gli ultimi a cadere, nel febbraio 1992, c’è María Elena Moyano, attivista premiata con il Principe di Asturie in Spagna per il suo lavoro nelle comunità femminili. La folla di trecentomila persone che accompagnò il suo funerale fu l’espressione definitiva del ripudio popolare per la follia visionaria di Sendero Luminoso.
Abimael Guzmán venne catturato pochi mesi dopo, nel settembre 1992. Da allora, i colpi di coda di Sendero sono stati numerosi, ma gli arresti dei comandanti superstiti ne ha oggi ridotto al minimo il potenziale.
Nella gabbia del Callao, Guzmán scruta i giudici con aria di sfida, senza rimorsi. In nome del suo ideale è ancora convinto che settantamila morti non siano stati abbastanza.

Wednesday, October 19, 2005

Brasile: addio alle armi

Via le armi dalle case dei brasiliani. Mancano meno di quattro giorni al referendum in Brasile sulla tenenza delle armi. Come fare per sostenere l’iniziativa (sit-in, invio di e-mail, gruppi di appoggio) vi viene detto su questo sito:
http://www.redepaz.org.co/article.php3?id_article=223

Un’inchiesta svolta da Toledo & Asociados rivela però che il 52% della popolazione voterebbe per il no, mentre solo il 34% si schiererebbe con il sì. L’inchiesta è stata svolta tra l’8 ed il 15 ottobre su un campione di 1947 cittadini brasiliani di età superiore ai 25 anni. Ho tradotto alcuni dei passaggi dell’intervista a Marcos Rolim, ex deputato federale e consulente ora per l’Unesco e varie ONG, apparsa su vari siti internet in appoggio al referendum.

A prima vista questo referendum è il frutto di un processo altamente democratico...
Esattamente. È un progetto che sorge dalla società, viene inviato allo Stato, che lo elabora legislativamente, e viene restituito alla società civile perchè lo approvi. Si tratta di un’impresa nuova per i brasiliani. L’opposizione dice che in un referendum si sprecano molti soldi, per cui si chiede il perchè non convocarlo con le elezioni del prossimo anno. La risposta è che non si può politicizzare un referendum, legarlo a quelle elezioni sarebbe stato un errore...

Quali conseguenze immediate si sperano con l’approvazione della legge?
Abbiamo già una chiara tendenza che indica una diminuzione degli omicidi commessi con armi da fuoco. Nel 2004 si è sperimentata la prima caduta degli ultimi tredici anni, che si esprime con un 8% sul territorio nazionale. Questo può apparire un concetto astratto, ma in un paese grande come il Brasile, significa aver salvato la vita di almeno tremila persone...

È stata studiata la possibilita che un gruppo o una organizzazione criminale possa trarre beneficio da tale situazione?
Non credo che i gruppi criminali, così come quelli del narcotraffico, ricevano alcun vantaggio da questa situazione... i fucili, le granate, i mitra che sono prodotti dall’industria brasiliana non arriveranno a questi delinquenti perchè destinate al mercato straniero e alle Forze Armate. Già ora i prezzi al mercato clandestino sono aumentati, segno che le misure preventive hanno avuto successo. Un revolver calibro 38, il più comune, si comprava a 80 reales in qualsiasi favela. Oggi questo stesso revolver costa 250 o 300 reales.

Monday, October 17, 2005

Uriel e il Cafta

Uriel ha lavorato per dodici anni in un mattatoio. Ha ammazzato, scuoiato e tagliato a pezzetti centinaia di bovini, ne ha calpestato il sangue e ha imparato come la paura di quelle bestie –la paura di morire- fosse reale e tangibile. Uriel se ne è andato dal mattatoio per non fare un mestiere che abitua alla morte. Un paio di anni fa ha smesso e si è dedicato a forgiare il ferro. Fa l’herrero, come lo chiamano qui. È venuto a casa mia l’altro giorno e, mentre mi accompagnava in macchina a recuperare una scala, mi ha chiesto cosa ne pensassi del Tlc, il Cafta.
“Noi vendevamo la carne agli Stati Uniti” mi ha raccontato.
“Quando venivano gli ispettori, ci facevano preparare con ore di anticipo perchè fossimo in ordine. Capivo che non ci permettessero di portare anelli o braccialetti, fa parte delle norme, così come curare l’igiene. I gringos erano gentili, sorridevano a tutti e prendevano appunti. Nella seconda visita, però, chiesero che gli uomini si tagliassero i baffi. Questo andava già al di là delle norme. Nella terza visita, quelli che non avevano obbedito vennero licenziati. Poi, chiesero che i capelli, nonostante fossero protetti dalla reticella e dal casco, venissero tagliati il più corto possibile. Anche questo andava oltre le regole, eppure il messaggio era stato chiaro: ti tagli i capelli o te ne vai”.
Questa è la paura del Cafta. Si entra con le buone a casa di una persona e poi ci si comporta da padroni. È successo tante volte nel passato e le nazioni centroamericane hanno ricordi ancora dolorosi e ferite che non si rimarginano tanto facilmente.
Uriel non crede nel Cafta. Non ci crede perchè possiede una buona dose di saggezza spiccia e perchè, in fondo, non vuole che da fuori venga qualche sconosciuto ad ordinargli di tagliarsi i capelli.

Sunday, October 16, 2005

Cosa ci aspetta questa settimana (17-23 ottobre)

La tensione cresce in Ecuador, dove Lucio Gutiérrez è tornato venerdì scorso a rivendicare la poltrona presidenziale. Per il momento è stato messo in carcere (era pendente un mandato di cattura). Prima il Brasile e poi la Colombia gli avevano accordato l’asilo politico. Ora Gutiérrez rinuncia al privilegio, invocando giustizia per quello che accusa essere stato un golpe che l’ha destituito. Leggi la sua intervista qui concessa alla Bbc prima di essere arrestato: http://opinion.blogcindario.com/2005/10/00047.html

Continua il processo nel superbunker del Callao ad Abimael Guzmán, il leader di Sendero Luminoso e ad altri dirigenti del gruppo rivoluzionario. Guzmán si astiene dal dichiarare. Caretas, settimanale peruviano, ha pubblicato una intervista a Maritza Garrido Lecca, la senderista che stava ospitando Guzmán –il presidente Gonzalo- nella sua casa quando venne arrestato (era il settembre 1992). Leggila su:
http://www.caretas.com.pe/Main.asp?T=3082&id=12&idE=641&idSTo=228&idA=16957

Sergio Ramírez parla del suo ultimo romanzo –“Mil y una muertes- a Tiempos del Mundo, settimanale conservatore. Lo trovi su:
http://www.tdm.com/ArteyCultura/2005/10/20051013-623112.htm


Intanto, Bush incontrerà il 4 e 5 novembre a Mar del Plata, in Argentina, i presidenti centroamericani che hanno firmato il Trattato di libero commercio. Ci sarà anche il rappresentante della Costa Rica, paese che non l’ha ancora ratificato. Si tratterà di una riunione in cui verranno consegnate le ‘ultime istruzioni’ prima che il TLC entri in vigore, il primo gennaio 2006.

Nicaragua e Costa Rica ai ferri corti

Due settimane fa pubblicavo su peacereporter (www.peacereporter.net) un articolo sulla crisi tra Nicaragua e Costa Rica (sotto il testo completo). A distanza di quindici giorni l'ambasciatore nicaraguense è tornato a San José, la tensione si è allentata un poco, ma stamattina è apparsa su La Nación -il quotidiano più diffuso in Costa Rica- (www.nacion.com) la notizia con l'obbligo da parte delle lance costaricensi che solcano il fiume San Juan di issare una bandiera del Nicaragua.
Questo di seguito, l'articolo di due settimane fa.
Ritiro dell’ambasciatore, una tassa del 35% sui prodotti importati, schieramento dell’esercito alla frontiera: così il Nicaragua ha risposto alla denuncia che la Costa Rica ha interposto alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja.
Sul tappeto, il tema del diritto di circolazione sul fiume San Juan, corso d’acqua di frontiera tra i due paesi, ma appartenente per intero al Nicaragua. Il territorio della Costa Rica comincia infatti sulla sponda sud e gli accordi sottoscritti –in particolare quello del 1858 e convalidato trent’anni più tardi dall’allora presidente degli Stati Uniti, Cleveland- sono oggi motivo della differenza di interpretazione. Per la Costa Rica esiste il diritto di poter navigare liberamente nelle acque del fiume per scopi commerciali e di polizia; per il Nicaragua no.
A suscitare la polemica era stato nel 1998 il presidente nicaraguense di allora, Arnoldo Alemán –che sta scontando una condanna a venti anni per corruzione e narcotraffico- che denunciò la presenza di pattuglie armate della polizia costaricense nel fiume. Al momento era sembrata una trovata politica, intrisa di demagogia, dovuta al calo di popolarità di un discusso presidente. Invece, processato e condannato Alemán, la questione è rimasta comunque irrisolta. Da allora, infatti, le imbarcazioni costaricensi che solcano le acque del fiume, una risorsa che richiama centinaia di turisti a settimana, devono pagare un dazio al Nicaragua, mentre le forze di polizia, impegnate nella prevenzione al narcotraffico, al contrabbando e all’immigrazione clandestina, devono operare disarmate. La misura colpisce però anche i pescatori e gli studenti che, in una regione priva di strade, usano il fiume per il loro lavoro e per recarsi a scuola.
Dopo anni di inutili negoziati tra le due diplomazie è arrivata la decisione della Costa Rica di esporre il caso all’Aja. Si tratterà di un lungo procedimento, che costerà a due paesi sempre con problemi di bilancio, alcuni milioni di dollari. Proprio per fare fronte a questa imprevista spesa, il governo nicaraguense voterà al Congresso nei prossimi giorni un decreto per gravare i prodotti costaricensi di una tassa del 35%. La misura –chiamata già pomposamente “Imposta patriottica”- è stata criticata dagli stessi imprenditori nicaraguensi che, come i colleghi dell’altra sponda, chiedono invece una risoluzione diplomatica al conflitto che non danni i rapporti commerciali.
La decisione costaricense giunge come un salvagente per Enrique Bolaños, l’attuale presidente nicaraguense che da mesi sta lottando contro un’opposizione interna, condotta anche dal suo stesso partito, che ne ha chiesto più volte le dimissioni. Forse, proprio per questo si spiega la esagerata reazione di Bolaños di inviare l’esercito alla frontiera per vigilare un fiume che da anni non viene pattugliato dalle lance della polizia costaricense. Come spesso avviene in America Latina, ogni minimo screzio di frontiera viene usato demagogicamente dai politici per gettare fumo negli occhi ad un’opinione pubblica vessata da più profondi e reali problemi come la povertà, la disoccupazione, il costo della vita. Il collega costaricense di Bolaños, Abel Pacheco, versa anche lui in un pessimo momento in quanto a popolarità ed inoltre la Costa Rica è entrata in piena campagna elettorale. Il tema del fiume San Juan diventa quindi argomento di peso per i candidati.
Nel botta e risposta di questi giorni, la Costa Rica ha fatto sapere che, nel caso i propri prodotti venissero tassati, risponderebbe con un’imposta simile sulle rimesse che almeno mezzo milione di nicaraguensi emigrati inviano ogni settimana alle loro famiglie in patria.
Intanto, Francisco Fiallos, ambasciatore nicaraguense in Costa Rica, è stato ritirato a tempo indeterminato da San José. La rottura delle relazioni diplomatiche fa quindi pensare ad un acuirsi della crisi nei prossimi giorni.